GIORNATA MONDIALE DEL RIFUGIATO

Indetta dalle Nazioni Unite, viene celebrata il 20 giugno per commemorare l'approvazione nel 1951 della Convenzione relativa allo statuto dei rifugiati da parte dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite. La Comunità di Sant'Egidio, ogni anno, fa memoria di questa giornata, con la Preghiera Morire di Speranza, ricordando tutti gli immigrati che sono morti nel Mar Mediterraneo, attraverso la rotta balcanica o lungo altri percorsi, nel tentativo di raggiungere l'Europa.

"Morire di Speranza": una preghiera per i migranti che non ce l’hanno fatta

La preghiera Morire di Speranza è nata su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio, come risposta al dramma delle migliaia di migranti e rifugiati che ogni anno perdono la vita lungo le rotte migratorie. L'iniziativa è divenuta negli anni un appuntamento significativo in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato, celebrata ogni anno il 20 giugno, ed è promossa insieme a diverse realtà cristiane impegnate nell’accoglienza: il Centro Astalli dei gesuiti, la Caritas Italiana, le ACLI, la Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, i Comboniani attraverso l’ACSE, i Padri Scalabriniani e la Comunità Papa Giovanni XXIII.

La preghiera, celebrata inizialmente a Roma, si è progressivamente diffusa in molte città italiane e in diversi paesi europei – tra cui Spagna, Belgio, Francia, Germania e Polonia – e, più recentemente, anche in alcuni paesi africani. In ogni luogo, la veglia si svolge per ricordare, nome per nome, chi ha perso la vita nel tentativo di raggiungere una terra di pace e di dignità.

Una memoria che interpella

Durante la veglia vengono letti i nomi – quando conosciuti – delle vittime: uomini, donne e bambini morti nel deserto, nel Mediterraneo o lungo le rotte di terra, mentre cercavano una speranza. Si tratta di una memoria condivisa, spesso vissuta insieme a parenti, amici e membri delle comunità locali, per contrastare l’indifferenza e affermare il valore di ogni vita umana.

Dal 1990 al 2025, si stimano oltre 67.000 persone morte o disperse lungo le rotte migratorie verso l’Europa. Tragici simboli di questa lunga strage sono i naufragi nel Canale di Sicilia: a Lampedusa il 3 ottobre 2013 (368 vittime), nel Canale di Sicilia il 18 aprile 2015 (circa 900 morti) e il naufragio di Cutro, il 26 febbraio 2023, in cui persero la vita almeno 94 persone, tra cui molte famiglie.

Particolarmente allarmante è il dato che, negli ultimi anni, oltre il 38% delle vittime sono donne e bambini. Anche quando gli arrivi si riducono, le morti aumentano in proporzione: le rotte diventano infatti più pericolose a causa delle misure di controllo ai confini, che spingono i trafficanti a percorsi sempre più rischiosi.

Quando la vita resiste

Ci sono anche storie di resistenza e speranza, come quella di una bambina nata su una piattaforma petrolifera abbandonata nel Mediterraneo, o di Yasmine, una ragazzina di 11 anni sopravvissuta per tre giorni in mare, unica tra 45 persone disperse dopo un naufragio. Sono testimonianze che raccontano la forza della vita, anche nelle condizioni più estreme.

Un appello per l'accoglienza

Nel contesto europeo, le politiche migratorie tendono a privilegiare il controllo delle frontiere e il rimpatrio. Tuttavia, è sempre più urgente rafforzare le vie legali di ingresso e i Corridoi Umanitari, che si sono dimostrati strumenti efficaci e sicuri per offrire protezione a chi fugge da guerre e persecuzioni. Le parole di Papa Francesco – “soccorso, accoglienza, integrazione” – restano un richiamo profondo alla coscienza cristiana e all’umanità. Non devono essere dimenticate: ci indicano la via per una società più giusta e solidale.

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Autore FOTO: JAMAL NASRALLAH | Ringraziamenti: EPA