Siamo nel pieno del tempo di Avvento, attesa che accende di speranza chi è nell’oscurità della tempesta, tempo che può essere fastidioso e irritante per chi è avvolto dal sonno della rassegnazione e dallo stordimento del benessere.
Ci sveglia, perché Il Signore viene, non ci lascia soli, entra nella nostra condizione umana così drammaticamente fragile. Viene per farci trovare la nostra forza e grandezza, quella sua immagine nascosta in ogni persona, da amare e rispettare sempre. Ogni vivente è attesa. Il mondo è attesa. La vita è attesa, anche quando sembra sepolta sotto la paura, la tristezza, lo sconforto, l’amara disillusione, che nutrono il nichilismo .
Oggi sentiamo nostra l’attesa del mondo che cerca pace e futuro, perché non c’è futuro senza pace, che ha bisogno di domani perché il desiderio di tutti è che “l'oggi restasse oggi senza domani o il domani potesse tendere all'infinito”. La guerra è invece la fine di tutto e per tutti, anche se pensiamo sempre che riguardi altri, come la morte. La guerra, con quello che la precede e la segue, non finisce se non trova pace. La pace non è accessoria, Non è facoltativa la pace, è vita, è la sola possibilità per vivere. Non ci si salva da soli dalla pandemia della guerra. Ascolteremo tanti nomi di quell’unica pandemia che è la guerra. Questa consapevolezza, che non ci si salva da soli, consapevolezza un po' intermittente, essendo molto stolti la capiamo e poi la dimentichiamo, come avvenuto per il Covid. Questa consapevolezza, come è avvenuto per le guerre che ci hanno coinvolto, le due guerre mondiali, questa consapevolezza dovrebbe spingere a praticare sempre il dialogo, a evitare personalismi e vanità inutili e pericolose, parole pericolose, nella semantica, perché contengono odio e trasmettono odio e ignoranza. Dovremmo esercitarci a pensare la nostra vita sempre in relazione agli altri e non senza o contro. Ci dovrebbe spingere a combattere la polarizzazione che sappiamo quanto contribuisce a fare crescere sentimenti enfatici e ignoranti della guerra.
È un sogno? Un sogno di Natale? per ingenui cercare la pace? No. È follia piuttosto credere di giocare con la guerra! Ed è ingenuità presuntuosa e mortifera dell’uomo che si vuole fare Dio pensare di dominare la guerra e di vincere la guerra con la guerra. La guerra travolge anche chi la usa e anche il vincitore è uno sconfitto, diceva don Primo Mazzolari. Se ci si salva solo assieme - e ci si salva solo assieme - la pace è affare di tutti e tutti dobbiamo costruire l’arca che protegge dalla tempesta della violenza la nostra fragilissima vita.
Gesù che aspettiamo è il “vero arcobaleno di Dio, che congiunge il cielo e la terra e getta un ponte sugli abissi e tra i continenti”, diceva Papa Benedetto. E un pezzo di questo arcobaleno è nascosto in ogni uomo, e ognuno di noi lo può scoprire e regalare. L’avvento ci invita a preparare quel giorno nel quale, come abbiamo ascoltato, molti popoli saliranno sul monte del Signore, ascolteranno la sua parola e decideranno di spezzare le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci. Ho l’impressione che ci stiamo esercitando esattamente al contrario! Non impareranno più l’arte della guerra. Ecco perché Gesù scende dal cielo, entra nella nostra vita e sale sulla barca, la fragile barca della nostra umanità, dove siamo uniti nell’unico destino, che Gesù fa suo e rende quella barca la nuova arca di Noè. Le onde rivelano la nostra debolezza, travolta dalla forza brutale della violenza, che rende insignificante la vita di tutti. Credo che non riusciamo a immaginare cosa significa la tempesta distruttiva degli ordigni nucleari. Io faccio fatica a capire che cosa significa che in pochi attimi viene sommersa la vita di milioni di persone.
“Siamo perduti!”. Ecco la nostra preghiera, e ascoltiamo la risposta del Signore: “Taci, calmati!”. La parola di Gesù libera dalla forza del male, è più forte della violenza dell’acqua e ci chiede a tutti di essere uomini e donne di fede. La preghiera è che taccia il rumore della guerra, che finisca la tempesta della guerra. La preghiera non è l’ultima ma la prima scelta, perché la preghiera poi diventa memoria, solidarietà, accoglienza, intelligenza, disarmo di parole e di gesti violenti, ferma convinzione a cercare sempre e comunque la pace. Dobbiamo dire che preghiamo davvero troppo poco per la pace. Non siamo una madre che non può star tranquilla per un figlio che è colpito dalla violenza e che è esposto alla guerra. Tante volte siamo piuttosto presuntuosi a rinunciare al dialogo, tanto da sprecare le occasioni e finire per diventare imbelli e pavidi, tanto da non sapere scegliere con coraggio la via dell’incontro che richiede umiltà per capire e creare le condizioni per una pace sicura. Tutto è possibile a chi crede nella pace, a chi ha fede, perché Dio sarà con lui, perché il nome di Dio è la pace.
Nella tempesta sentiamo oggi il grido, il lamento, l’urlo di chi è minacciato. È la loro preghiera che sale a Dio da tanti angoli dimenticati del mondo ma non da Lui, tanti angoli che tendono a cronicizzarsi, come tante guerre. La passione per la pace nasce da questa sofferenza terribile, enorme, inaccettabile, che Dio fa sua e che ci insegna a fare nostra “Un giorno qui è come mille anni”, dicono tutti coloro che si trovano a combattere, o non lo dicono, ma lo vivono. La guerra è un ingranaggio che impone la sua logica e che alla fine nessuno riesce a dominare perché la guerra degenera anche il più giusto tra gli uomini, trasformando l’uomo in "un animale umano", per usare le parole di un militare consapevole della brutalità e forse spaventato di quello che la guerra fa diventare, un animale umano. La “Guerra è sempre”, diceva un sopravvissuto. Ascoltiamo questa sofferenza enorme, facciamola nostra.
Giovanni XXIII alla vigilia del Vaticano II disse una frase semplice ma essenziale: “Le madri e i padri di famiglia detestano la guerra”. Il Signore accoglie il dolore dei padri e delle madri che piangono per i loro figli, che guardano con angoscia ogni giorno di guerra. La domanda che vogliamo farci, e che ci inquieta, è: abbiamo fatto tutto quello che potevamo per fermare la tempesta della guerra? Qualcuno diceva: «Alla situazione che ha reso la guerra davvero inevitabile si è arrivati per mezzo di parole, parole su parole usate a sproposito. Se così grande è il potere delle parole, perché esse non dovrebbero essere in grado di impedire la guerra?».
Ci prepariamo al Giubileo della speranza. Niente è impossibile a chi crede. La nostra preghiera è che sia, il Giubileo, un’opportunità per la pace, per il coraggio del dialogo e del cessate il fuoco, per chiedere aiuto alla comunità internazionale di garantire le tregue e soprattutto per creare le condizioni di una pace giusta. E che la comunità internazionale si accordi per permettere questo, usando tutti gli strumenti, che forse abbiamo troppo indebolito. Non accettiamo che l’unico modo per risolvere i conflitti torni ad essere quello di sempre, quello delle armi e di una forza che è diventata terribile. (SNC 8) Papa Francesco nella bolla di indizione ha detto: “Immemore dei drammi del passato, - e dovremmo domandarci dove abbiamo messo la memoria - l’umanità è sottoposta a una nuova e difficile prova che vede tante popolazioni oppresse dalla brutalità della violenza. Com’è possibile che il loro grido disperato di aiuto non spinga i responsabili delle Nazioni a voler porre fine ai troppi conflitti regionali, consapevoli delle conseguenze che ne possono derivare a livello mondiale? – e continua papa Francesco - È troppo sognare che le armi tacciano e smettano di portare distruzione e morte?
Il Giubileo ricordi che quanti si fanno «operatori di pace saranno chiamati figli di Dio» (Mt 5,9). L’esigenza della pace interpella tutti e impone di perseguire progetti concreti. – non è solo un auspicio, tutt’altro - Non venga a mancare l’impegno della diplomazia – dice papa Francesco - per costruire con coraggio e creatività spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura”. Poi, come sappiamo, ci sono tanti modi perché la diplomazia possa essere aiutata, tanti modi pe creare spazi di trattativa finalizzati a una pace duratura. Questo coinvolge in particolare l’Europa che è nata da chi ha immaginato la pace e ripudiato la guerra, frutto anche delle sue profonde radici cristiane. Può perdere l’Europa il diritto individuale e comune che è il diritto della pace rinunciare a essere unita nell’esercitarsi nell’arte del dialogo, l’arte della vita? La pace è l’eredità dei morti e dei sopravvissuti e di una generazione di persone che hanno sognato e costruito l’Europa perché imparassimo a pensarci insieme e non più contro ma neanche senza l’altro. Insieme.
Ascolteremo i nomi di paesi prigionieri della guerra. Tanti, un elenco che sembra davvero interminabile. Sono nomi che contengono milioni di nomi, di persone. Accenderemo per ognuno di essi una luce, perché anche una piccola luce è spiraglio di speranza nell’oscurità. E le luci che accenderemo sono di quei candelabri della pace che accompagnano tutta l’invocazione che dal 1987 a oggi la Comunità di Sant’Egidio ha organizzato con tanti pellegrini di pace, in tanti luoghi di pace, con tanta insistenza. Accendiamo il nostro cuore diventando operatori di pace pieni di determinazione, senza compromessi con la logica del male e della divisione, senza farci ingannare, senza metterla sotto il moggio liberandosi dallo sterile salvarsi da soli, per fare ciascuno sua parte, nelle varie responsabilità, ma ognuno ha responsabilità, che è di tutti, perché non si può essere spenti.
Bisogna essere accesi, bisogna scegliere la pace, perché, diceva Paolo VI: “La pace è dovere. Dovere grave. Bisogna scuotere i cardini di inveterati pregiudizi: che la forza e la vendetta siano il criterio regolatore dei rapporti umani – diceva -; che ad un’offesa ricevuta debba corrispondere altra, e spesso più grave offesa: «. . . occhio per occhio, dente per dente . . .» (Mat. 5; 38); che l’interesse proprio debba prevalere su quello altrui senza tener conto dei bisogni degli altri e del diritto comune . . . Bisogna mettere alla radice della nostra psicologia sociale la fame e la sete della giustizia, insieme con quella ricerca di pace, che ci merita il titolo di figli di Dio (Mat. 5, 6, 9). Diceva il papa: “Non è utopia, è progresso, oggi più che mai reclamato dall’evoluzione della civiltà, e dalla spada di Damocle d’un terrore sempre più grave e sempre più possibile, che le pende sul capo. Come la civiltà è riuscita a bandire almeno in linea di principio la schiavitù, l’analfabetismo, le epidemie, le caste sociali . . .. malanni cioè inveterati e tollerati come fossero inevitabili e insiti nella triste e tragica convivenza umana, così bisogna riuscire a bandire la guerra. - e concludeva - La buona creanza dell’umanità lo esige” Sì, la buona creanza dell’umanità, di quella umanità che il Signore che viene ci insegna a contemplare, a vedere, a comprendere.. È il tremendo e crescente pericolo d’una conflagrazione mondiale che lo impone.
Abbiamo il nostro singolare e personale dovere: essere buoni, che non vuol dire essere deboli; ma essere promotori del bene; vuol dire essere generosi, vuol dire essere capaci di rompere con la pazienza e col perdono la triste e logica catena del male; vuol dire amare, cioè essere cristiani”. La creanza, dono del creatore ce lo suggerisce e ci impone questo dovere. Non siamo fatti per vivere e per ucciderci come bruti!
Vieni Signore che insegni agli uomini la loro vera grandezza, a non vivere come bruti, a riconoscere dentro la loro umanità l’immagine di Dio e tutto presto canti, come quella notte a Betlemme: “Pace agli uomini che Egli ama”. Venga la pace.