Testimonianza di Mattia Magagnini, famiglia italiana che ha accolto
Santo Padre,
mi chiamo Mattia, vengo dalle Marche. Sono emozionato di rappresentare, davanti a lei, una comunità di famiglie che non hanno avuto timore ad aprire le loro porte e alla fine si sono ritrovate con tanti nuovi parenti, venuti da lontano, oggi non più stranieri.
Per la mia famiglia tutto comincia nel 2018, quando mio suocero Lamberto, capofila di un gruppo di volontari, ci lascia in eredità l’accompagnamento di una famiglia siriana, arrivata con uno dei primi Corridoi Umanitari: papà, mamma e due figli piccoli, fuggiti dalle bombe e dalla distruzione di Homs.
“Pensate, i vostri figli, Bianca Maria e Francesco, avranno la possibilità di confrontarsi con bambini di un’altra cultura!”, ci diceva con fierezza Lamberto all’indomani del loro arrivo in Italia.
“Avete perso un padre, ma avete trovato due fratelli”, così ci hanno detto Anton e Nadine al funerale di Lamberto, scomparso appena quaranta giorni dopo il loro arrivo.
Due fratelli in più, quindi, la scoperta della Comunità di Sant’Egidio, e una piccola rivoluzione che cominciava nelle Marche, nella piccola Castelfidardo, con altre famiglie e compagni di viaggio straordinari: Dariana, Paolo, Alessandro e Barbara, solo per citare alcuni tra i presenti. Con loro ci siamo organizzati per provvedere a tutto: chi alla scuola per Mousa e Yana, chi alle visite mediche, chi ai documenti, alla ricerca della casa, al lavoro, che da noi non manca.
Certo, soprattutto all’inizio, anche alcune incomprensioni, come capita in tutte le famiglie, dovute non solo alle differenze culturali, ma soprattutto a ferite interiori profonde, alla difficoltà di riacquistare fiducia negli altri: “In guerra non sai più di chi ti puoi fidare”, ci hanno ripetuto più volte. Solo ora, dopo che una guerra, quella in Ucraina, mina la pace in Europa, sono riuscito a carpire il vero significato di quelle parole. Sì, perché creare ponti significa anche mettersi in discussione.
Nulla avviene per caso. Nel pieno del lockdown, la Provvidenza ha voluto che la nostra esperienza si incontrasse con quella di nuovi amici delle Marche, che a Macerata e Civitanova, hanno voluto ripetere la nostra esperienza. Così, come un contagio positivo, da quel primo corridoio ne sono nati altri due. Ecco perché oggi la nostra non è più una semplice esperienza. Siamo convinti che sia molto di più: i corridoi umanitari sono una via sicura per salvare vite umane e sono un grande dono per questa nostra Europa, spesso invecchiata e rassegnata. Il nostro augurio è di vedere esteso questo modello a tutto il continente.
Siamo qui a testimoniare proprio questo e credo che le mie parole valgano anche per tutti coloro, tanti, che hanno ospitato in Italia e in Europa: dall’accoglienza e dall’integrazione può nascere una società culturalmente ed umanamente arricchita. Un mondo cambiato. È davvero, Padre Santo, vivere “Fratelli tutti”. Per questo la ringrazio, per aver dato voce oggi a chi accoglie e a chi viene accolto, e per le sue parole che risvegliano ogni giorno le nostre coscienze.