Le prime sono state due donne, arrivate a gennaio: madre e figlia. La più giovane aveva perso gli arti, il bambino che portava in grembo e altri 2 figli piccoli, sotto un bombardamento a Gaza. Ricoverata immediatamente in un ospedale romano, ha ricevuto le cure necessarie. Lunghi mesi di riabilitazione, nel frattempo la scuola di lingua per poter comunicare nel nuovo contesto, le visite costanti di nuovi amici, Poi, a maggio, la gioia dell'arrivo del resto della famiglia. Quando la figlia più piccola ha visto la mamma in sedia a rotelle, con la spontaneità dei bambini le è saltata in braccio e le ha detto: "quando sono stanca voglio camminare anche io così!". Quel giorno per D. è finita la guerra, le è tornato il sorriso, ha ritrovato speranza. Oggi vive a Roma, in una casa messa a disposizione dalla Comunità e prosegue il percorso terapeutico.
Sono storie diverse, eppure in qualche modo simili, quelle degli 81 profughi palestinesi, sottratti in questi mesi al dramma che si sta consumando a Gaza, grazie alle evacuazioni sanitarie operate dal governo italiano ed accolti e accompagnati dalla Comunità: a Roma, Bologna, Milano, Firenze, Perugia.
Tutti loro portano sul corpo - oltre che nel cuore - ferite molto gravi. Presi in carico dagli ospedali italiani, e sostenuti dalla Comunità, che ha cercato laddove possibile di favorire il ricongiungimento delle famiglie, stanno ritrovando lentamente la salute e la prospettiva di un futuro. Alcuni sono ancora ricoverati, le ferite sono gravi e lunghe da sanare. Ma c'è chi ha già trovato un lavoro, mentre i bambini crescono finalmente lontano dalla guerra.