Non si sa molto di Modesta Valenti. Negli ultimi mesi del 1982, alcuni giovani di Sant’Egidio l’avevano incontrata, nei pressi della basilica di Santa Maria Maggiore, a Roma. Chiedeva l’elemosina, un po’ timidamente, quasi di nascosto. “Ha mica qualcosa da darmi?” diceva cortesemente, in dialetto friulano. L’amicizia nata in quei mesi di freddo – fatta più di gesti che di parole: un cappuccino caldo, un pranzo insieme - aveva svelato però pian piano alcuni dettagli della sua vita: veniva da Trieste, dove era nata nel 1912. Aveva vissuto fino a qualche anno prima in un appartamento, un bel “quartin”, come lo chiamava, di cui parlava con nostalgia. Ma la sua vita era stata segnata anche dall’esperienza dolorosa del ricovero in ospedale psichiatrico. Un ricordo che emergeva a tratti, in maniera frammentata, nei suoi racconti in cui accennava anche a trattamenti traumatizzanti, forse elettroshock.
Non sappiamo cosa l’avesse spinta ad abbandonare Trieste per venire a Roma, dove non conosceva nessuno e dove aveva iniziato a vivere per la strada. A chi glielo chiedeva, diceva che il vero motivo era stato che qui c’era il papa e avrebbe voluto incontrarlo. Infatti le piaceva camminare fino a San Pietro. Una volta, aveva anche visitato la basilica con un amico della Comunità: un raro momento di gioia e di serenità. Con i suoi modi dolci, velati di tristezza, parlava spesso di un viaggio in treno che voleva fare, forse per tornare a Trieste.
La mattina del 31 gennaio del 1983, dopo la notte passata al freddo, alla Stazione Termini, proprio vicino al Binario 1, Modesta si sentì molto male. Alcuni passanti chiamarono un’ambulanza, che però non volle soccorrerla, perché aveva i pidocchi. Per 4 lunghe ore, diversi ospedali si rimbalzarono la responsabilità di soccorrerla. Modesta rimase in terra, continuando a soffrire. E quando finalmente arrivò l’ultimo mezzo di soccorso, era morta.
Furono gli amici della Comunità a prendersi cura di lei, anche dopo la morte. Non fu un compito facile. Ci vollero 11 mesi infatti, perché il suo corpo – sequestrato dall’autorità giudiziaria – potesse essere riconsegnato alla Comunità, sua unica famiglia, che celebrò il funerale nella chiesa di Sant’Egidio il 28 dicembre 1983, nella festa dei Santi Innocenti.
La Comunità fu toccata profondamente dalla storia di questa donna fragile, provata dalla vita, morta per il rifiuto, l’abbandono, il disprezzo, che come una congiura si erano stretti attorno a lei fino a farla morire sola. Nella sua storia sembravano concentrarsi tanti segni di povertà e di abbandono, fino a farne una vera “martire dell’indifferenza”. I poveri che vivono sulla strada si identificano in lei e nella sua sofferenza, e la chiamano “Santa Modesta” cercando in lei comprensione e protezione.
Per questo, ogni anno, nell’anniversario della sua morte, la Comunità di Sant’Egidio celebra il ricordo di Modesta e di tutte le persone senza dimora che muoiono per la durezza della vita in strada. Nella liturgia a Santa Maria in Trastevere e in tante altre chiese - a Roma, in Italia, ma anche in altri paesi - gli amici scomparsi vengono ricordati ciascuno per nome. L’accensione delle candele ne accompagna la lettura. È un momento di profonda commozione: ognuno sa che il suo nome, scritto nel cuore di Dio, non sarà mai dimenticato dalla Comunità, che custodisce come un tesoro ogni storia e ogni volto.