Una storia di burocrazia kafkiana ma anche di umanità. Il ragazzo afgano, minorenne e solo, grazie alla Comunità Papa Giovanni XXIII e a quella di Sant'Egidio potrà studiare
«Gli ultimi sei mesi, per me, sono stati lunghi come sei anni, finché non ho ricevuto la notizia che potevo lasciare Lesbo e che sarei potuto partire per l’Italia...». Negli occhioni scuri di N.A., il 17enne afghano che i lettori di Avvenire conoscono come Nico, scorre il film del recente passato: i viaggi di fortuna, l’incendio della tendopoli di Moria, il timore di essere espulso, la grettezza di alcune persone e la generosità di altre, a cominciare da Filippo e Fabiola Bianchini, che lo hanno accolto ad Atene come fosse l’ennesimo figlio, nel nugolo di ragazzini di cui si prendono cura.
Ora quell’attesa è finita, per lasciar spazio alla speranza, che ha la forma di una prenotazione su un volo in partenza lunedì da Atene verso Roma, insieme ad altri richiedenti asilo e minori non accompagnati.
Corridoio umanitario. Nico farà parte del primo gruppo proveniente dalla Grecia, grazie a un corridoio umanitario nato da un protocollo sottoscritto nel settembre scorso dal ministero dell’Interno e dalla Comunità di Sant’Egidio, che prevede l’arrivo di 300 persone richiedenti protezione. Da Roma il ragazzo si sposterà a Rovereto, in Trentino Alto Adige, fra montagne innevate come quelle del suo Afghanistan, per essere accolto in un’altra casa famiglia della Comunità Papa Giovanni XXIII.
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[ Vincenzo Spagnolo ]