Alina aveva 50 anni e viveva per strada assieme al suo compagno: è accanto a lui, sul ciglio di un marciapiede, che è stata trovata morta il 14 febbraio 2009. Giulio, clochard di 60 anni, saltuariamente lavorava come carpentiere sulle navi: ma di ritorno a terra dormiva nel Silos, dove nel 2013 è morto di freddo. Gianni, esperto speleologo e amante del Carso, finì per strada a causa dei debiti, e per strada infine spirò nel 2015, a causa di una malattia: la prima volta che i volontari di Sant’Egidio lo conobbero, seduto per terra in stazione, stava leggendo un volume di Schopenhauer. Negli ultimi 20 anni, sono 38 i senza fissa dimora morti per strada a Trieste in condizioni di stenti e povertà, messi alla prova dalla durezza delle condizioni di vita all’addiaccio, esposti al freddo e alle malattie di ogni sorta. Esposti e vulnerabili, anche, alla solitudine e all’indifferenza di molti, ma non dei volontari della Comunità di Sant’Egidio che li hanno voluti ricordare, uno a uno di loro, nell’annuale messa per gli “amici della strada” celebrata nella chiesetta del Sacro Cuore di Gesù in via del Ronco. È stato padre Luciano Larivera a celebrare la liturgia eucaristica e poi i membri della Comunità ad accendere, al ricordo di ogni nome di chi ha perso la vita all’addiaccio, una candela simbolo di luce contro il buio del disinteresse. Ed è stato poi un pranzo domenicale, consumato nei locali parrocchiali, a mettere attorno alla stessa tavola i volontari e alcuni senza fissa dimora o altre persone fragili che Sant’Egidio aiutata a vario titolo: persone come Alina, Giulio e Gianni che, in 20 anni, «prima che assistiti sono diventati nostri amici», rammenta Paolo Parisini della Comunità, ricordando come «l’amicizia e la vicinanza sono davvero la salvezza per queste persone».
Il Piccolo
Francesco Codagnone