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Il 16 Ottobre 1943: un evento che non smette di parlare. Da una generazione all'altra la memoria si fa impegno contro ogni discriminazione

Interventi e testimonianze della cerimonia conclusiva della marcia della memoria

Il 16 ottobre 1943 "E’ un evento che, nella sua unicità, non smette di parlarci. Ma anche un evento che, passando da una generazione all’altra, ammonisce sui rischi dell’antisemitismo, sul nazismo e sul fascismo, che collaborò alla Shoah italiana, sui risorgenti odi razziali e xenofobi, sulla predicazione del disprezzo. La memoria di quel giorno non si svuota di concretezza, ma quei volti e quelle storie parlano ancora in un mondo diverso".

Queste parole di Andrea Riccardi riassumono bene il significato della memoria iniziata nel 1994 dalla Comunità di Sant'Egidio con la Comunità ebraica di Roma, che quest'anno, nell'80mo anniversario del "sabato nero" della deportazione degli ebrei, è stata celebrata con particolare solennità, con il coinvolgimento di migliaia di cittadini, giovani, nuovi italiani, le istituzioni della città e dello Stato.

La marcia: un percorso simbolico

Tradizionalmente la marcia partiva da Trastevere verso Portico d'Ottavia, come a ripercorrere all'inverso il percorso che gli ebrei furono costretti a fare il 16 ottobre 1943. Quest'anno, in occasione dell'80mo anniversario, la partenza del corteo è stata fissata a Piazza del Campidoglio, per sottolineare come questa data venga assunta da Roma come una memoria condivisa con tutta la città.

Dal Campidoglio, il corteo ha quindi percorso le strade che 80 anni fa furono teatro di una delle più grandi tragedie della storia di Roma, per raccogliersi al Portico d'Ottavia per la cerimonia conclusiva.

Interventi, testimonianze, la presenza del presidente della Repubblica

La presenza del Presidente Sergio Mattarella ha dato particolare valore all'evento, rendendolo un momento di unità nazionale. Il presidente si è unito alla fine della marcia, ha deposto una corona di fiori davanti alla Sinagoga di Roma e ha presenziato la cerimonia conclusiva in cui hanno preso la parola rappresentanti delle istituzioni, della società civile, e testimoni.

"Ricordare non è un atto rituale. È un dovere. Il dovere di tenere viva la memoria di quel crimine che mirava alla cancellazione totale della comunità ebraica di Roma - ha detto nel suo il messaggio la senatrice Liliana Segre, non privo di accenti personali :...Ed è un dovere anche onorare la memoria dei tanti romani, di tutti i ceti e di tutte le fedi, che si impegnarono, con sprezzo del pericolo, a nascondere ed aiutare gli ebrei.  Anche molte chiese e conventi dettero asilo agli ebrei braccati: vi trovarono rifugio anche i miei nonni Alfredo e Bianca Foligno, che erano sfuggiti per un soffio alla retata del 16 ottobre".

La piazza è gremita. Cartelli neri con i nomi dei campi di concentramento sono stati portati lungo il corteo da giovani di ogni nazionalità: Dachau, Buchenwald, Sobibòr, Bergen-Belzen, Birkenau, Auschwitz. Una geografia dell'orrore che resta negli occhi di quanti, donne e uomini di ogni generazione, sono qui per dire "mai più".

Sul palco, insieme al presidente Mattarella ci sono i rappresentanti delle istituzioni e della società civile: il sindaco di Roma Roberto Gualtieri, il presidente della Regione Lazio Francesco Rocca, Victor Fadlun, presidente della Comunità Ebraica di Roma, Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma, Andrea Riccardi, storico e fondatore della Comunità di Sant'Egidio. Accanto a loro, anche Tatiana Bucci e Sami Modiano, sopravvissuti alla deportazione ad Auschwitz.

L'eco della guerra e dei tragici eventi avvenuti in Terra Santa in questi giorni, risuona nelle parole del rabbino Di Segni: "In questi momenti bui - afferma  citando il profeta Isaia - non rinunciamo alla nostra speranza per un mondo migliore, più giusto e meno violento, in cui "un popolo non alzerà la spada contro un altro e non studieranno più la guerra".

Parole riprese dall'intervento di Andrea Riccardi, che conclude: "La guerra è il terreno dove, inevitabilmente, si sviluppano crudeltà incredibili. In un mondo con troppe guerre, dove, spegnendosi la voce dei testimoni e di chi ha conosciuto la guerra, si sta rivalutando lo strumento bellico. In questo clima, tra memoria, orrore per le stragi di innocenti e ansietà per il futuro, ci stringiamo attorno alla Comunità ebraica, segnata dalla memoria dolorosa e dalle preoccupazioni per Israele in questo momento, convinti che nessuno deve essere lasciato solo e isolato, come avvenne in quegli anni da non dimenticare".