«Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino» (Gv 4,50). Meditazione di Marco Impagliazzo

 

 

5 aprile 2022
Santa Maria in Trastevere

Marco Impagliazzo

Giovanni 4, 46-54

46Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l'acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. 47Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. 48Gesù gli disse: "Se non vedete segni e prodigi, voi non credete". 49Il funzionario del re gli disse: "Signore, scendi prima che il mio bambino muoia". 50Gesù gli rispose: "Va', tuo figlio vive". Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. 51Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: "Tuo figlio vive!". 52Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: "Ieri, un'ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato". 53Il padre riconobbe che proprio a quell'ora Gesù gli aveva detto: "Tuo figlio vive", e credette lui con tutta la sua famiglia. 54Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.

Questo secondo segno che Gesù compie a Cana, dopo aver cambiato l’acqua in vino, vede protagonista un funzionario del re che aveva un figlio malato e questo funzionario, come abbiamo ascoltato, venne a chiedere aiuto a Gesù. Venne a chiedere aiuto a Gesù con insistenza, come fa un uomo che prega secondo l’insegnamento di Gesù, che raccomanda l’insistenza nella preghiera. E il maestro, il Signore, dopo la sua insistenza, gli disse: «Va', tuo figlio vive».
Abbiamo ascoltato quello che dice il Vangelo di Giovanni: «Quell'uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino».
Il discepolo è colui che si mette in cammino credendo alla parola che Gesù gli dice e si vede trasformato, come quel funzionario vede trasformata la vita di suo figlio. Ma si trova trasformato anche perché il suo stesso cuore viene trasformato, del funzionario, dall’annuncio. Quell’uomo torna diverso, torna nuovo, risollevato da quella notizia e quella guarigione il funzionario sa che viene da Dio. Lui era un uomo potente ma capisce che quella guarigione non è certo venuta da lui ma da quel primo passo fiducioso di quando si è messo in cammino confidando nel Signore.
Così, fratelli e sorelle, questo racconto dell’evangelista Giovanni è un racconto che troviamo tante volte nel vangelo: uomini e donne che, confidando nella parola del Signore, nell’incontro con Gesù, trovano il loro cuore cambiato, proprio perché hanno ascoltato la parola. E proprio mentre viviamo il cammino della Quaresima, “quell’uomo si mise in cammino” ci dice il vangelo, sentiamo ogni giorno che il Signore, che ci tocca il cuore con la sua parola, ci guarisce dalla malattia che tocca la nostra vita, che inquina le nostre abitudini, che è l’amore per noi stessi. Quell’uomo si era messo in cammino per amore di suo figlio ed era stato liberato, proprio perché si era messo in cammino. Ed era stato cambiato, il suo cuore era diverso.
L’espressione “cammino”, anche per chi vive sempre nello stesso posto, noi la capiamo meglio, anche proprio perché viviamo nella Quaresima, nella disciplina di ogni giorno: non restare fermi in noi stessi o non girare intorno a noi stessi, che poi in sostanza è non muoversi mai. E questa disciplina che viviamo, particolarmente in questo tempo in cui ci è chiesto di confrontarci, di leggere di più la Parola di Dio, di leggerla ogni giorno, ci insegna a muoverci ogni giorno su quella parola.
Questo è il punto in cui questo segno, in cui ci viene detto che quell’uomo si mise in cammino, resta un punto di riflessione anche per noi. È la riflessione a partire dai tanti uomini e dalle tante donne che si sono messi in cammino nella Scrittura secondo la parola del Signore, da Abramo ai profeti. E tante scelte sono state anche di sofferenza interiore, come nella chiamata del profeta Geremia: “Signore, sono giovane, non so parlare, non sono io l’uomo per parlare al mio popolo!” (cfr. Ger 1,6). Ma il Signore lo convince con la sua parola. E sappiamo, dal libro del profeta Geremia, come il Signore lo convince con quelle espressioni che usa il profeta: la seduzione, il far forza, il prevalere.
Sorelle e fratelli,
c’è una sofferenza interiore, ed è bene che ci sia, quando la parola si fa spazio in noi, perché riduce lo spazio per noi stessi e ci porta lontano da quella via che siamo abituati a percorrere, non foss’altro che la via di girare attorno a noi stessi e alle nostre abitudini.
È quella sofferenza di un cuore che comincia a esistere nella vita e che si fa spazio nell’ingombro di tante cose e di tanti amori. È una sofferenza che domanda pazienza ed esercizio. Ma, come ci raccomanda il Signore Gesù, è una sofferenza che avviene nel segreto quella di far spazio alla parola e al pensiero del Signore nel nostro cuore. È, insomma, lasciarsi vincere dal Signore. C’è qualcosa che avviene nel segreto del cuore, perché finalmente si ritrova un cuore.
Per questo, riascoltando questa storia del funzionario del re, sappiamo e crediamo che non restare fermi nelle nostre abitudini salverà il nostro cuore dalla freddezza, dall’amore per noi stessi, dall’egocentrismo. Quel cuore che si mette in cammino sperimenta la forza del fuoco che il Signore ha messo proprio in quel cuore perché la nostra vita cambi, sia comunicativa, parli d’amore, viva dell’amore del Signore.

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