Sui passi del pellegrino di pace: la predicazione di Marco Impagliazzo alla veglia di preghiera per il viaggio di Papa Francesco in Iraq

Ez. 37,1-5.11-14

Sorelle e fratelli,
siamo riuniti in questa Basilica per pregare per il viaggio di papa Francesco in Iraq.
Preghiamo il Signore per la sua protezione, per la protezione di tutti gli iracheni e perché tutti ricevano presto il dono della pace dopo tante sofferenze.
Il papa come il “messaggero di bene che annuncia la pace e di buone notizie che annuncia la salvezza” è giunto questa mattina a Baghdad. La sua presenza è un vangelo, è una buona notizia. Il messaggero di pace si è recato nella cattedrale siro-cattolica di Baghdad dove un terribile attentato uccise 48 persone nel dicembre del 2010: i martiri contemporanei. Una striscia di marmo rosso dall’altare fino al sagrato ricorda il sangue dei martiri.
Il messaggero di pace si reca a Najaf, la città santuario degli sciiti per rendere visita al grande ayatollah al Sistani, -incontrato da alcuni di noi nel 2014 a Najaf- figura spirituale di riferimento per gli sciiti. Ha preparato l’incontro con queste parole: “Voi siete parte di noi, noi parte di voi”. Sappiamo cosa significa per gli arabi ricevere un ospite nella propria casa: è il più grande gesto di amicizia. Un gesto che nella vita di Abramo portò la buona notizia di una discendenza, tanto attesa. Preghiamo che da questo incontro nascano tanti frutti di dialogo e di comprensione tra cristiani e musulmani. Il messaggero di pace si reca a Ur, la terra di Abramo, per pregare per la pace con i figli di Abramo, tra questi anche rappresentanti della comunità sabea mandea. Un altro passo dello Spirito di Assisi che si compie in una terra dove la guerra è stata da troppi fanatici considerata santa. Mentre lo Spirito di Assisi da tanti anni ha detto che solo la pace è santa.
Il messaggero di pace si reca nella cattedrale caldea di San Giuseppe a Baghdad dove celebra –la prima volta per un papa – la liturgia in rito caldeo, la cui lingua liturgica è l’aramaico, la lingua di Gesù e tra le liturgie cristiane è la più vicina al culto sinagogale. Rende così omaggio a un’antica Chiesa di questa terra, martire, che nei primi secoli ha portato il Vangelo fino in India e in Cina e che oggi ha subito una grande emigrazione di fedeli a causa della guerra e del terrorismo.
Il messaggero di pace di reca a Erbil, città capoluogo della regione autonoma del Kurdistan iracheno, simbolo di un popolo, quello curdo, che ha conosciuto tante sofferenze. A Erbil il messaggero di pace incontrerà i cristiani che lì hanno trovato rifugio e ampia accoglienza durante i duri anni del califfato di Daesh. Qui il papa celebra la liturgia nello stadio della città. Il messaggero di pace e di lieti annunci si reca a Mosul nella piazza delle quattro chiese (Siro- cattolica, Armena ortodossa, siro-ortodossa e caldea) distrutte tra il 2014 e il 2017 dagli attacchi terroristici. A Mosul era parroco padre Ragheed ucciso, insieme a tre diaconi, nel giugno 2007. La sua stola è custodita a San Bartolomeo e ci venne consegnata dai suoi genitori in una commovente preghiera. A Mosul il papa prega per le vittime della guerra: cristiani, musulmani e yezidi insieme. Perché siamo tutti fratelli. Il messaggero di pace si reca a Qaraqosh, nella chiesa siro-cattolica dove viveva una fiorente comunità cristiana, spazzata via dal sedicente Stato islamico, che oggi comincia a ripopolare la cittadina e a ricostruire le case e le chiese. Il messaggero di lieti annunci viene a portare il Vangelo della Resurrezione laddove sono risuonate le grida di morte e il fragore tragico delle armi.
La terra visitata dal papa, terra dove scorrono il Tigri e l’Eufrate, Mesopotamia culla di antiche civiltà, patria di Abramo, padre di tutti i credenti, è stata anche quella Babilonia dove gli ebrei furono deportati dopo la conquista di Gerusalemme da parte delle truppe di Nabucodonosor. Con loro venne deportato anche il profeta Ezechiele che spinto dal Signore non si arrese alla disperazione o allo scoraggiamento che aveva preso gli ebrei fuori dalla loro terra, come rifugiati. Quel popolo non poteva essere considerato come ossa aride. Doveva ricevere lo spirito. Quello spirito che dà forza riunisce il popolo disperso e rassegnato. Il Signore fa rivivere le ossa aride, perché disperse. Le riunisce per stabilire con loro un’alleanza di pace. E naturalmente l’alleanza di pace opera di Dio vive tra le nazioni. I cristiani sono interpellati da questa domanda e si chiedono: come essere uomini e donne di pace, artigiani di pace? Allo stesso modo la Chiesa si chiede se non debba essere segno dell’unità dei popoli , riferimento per l’umanità sulla via della pace.
Il Signore pone al profeta una domanda: “potranno queste ossa rivivere?” E’ una domanda di vita, in mezzo a tanta morte. E’ umanamente impossibile ma Dio veglia sulla storia dei popoli. La Parola del Signore sempre si leva come una grande domanda dinanzi al senso di essere perduti in questi panorami. Non è una domanda retorica. Potranno queste ossa rivivere? Potrà l’Iraq rivivere in pace? In questi giorni c’è una risposta a questa domanda. Il messaggero di pace – per la cui missione e protezione preghiamo questa sera – sta dando una risposta con la sua presenza e la sua parola che porta buone notizie. “Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore. Dice il Signore a queste ossa: Ecco io faccio entrare in voi lo Spirito e rivivrete”. Quale grande missione è affidata al papa in questi giorni!  Ma la mano del Signore è sopra di lui, lo protegge e lo benedice. Lo Spirito illumina la Parola.  
Il Signore chiede che sia trasmesso il suo spirito di vita a quelle ossa aride perché tornino a vivere. Lo Spirito è dono di vita. Lo Spirito è il passaggio di Dio in un mondo inaridito. Lo Spirito è speranza in questo mondo disperato, lo Spirito è forza in un mondo logorato dalla sofferenza, lo Spirito è guida in un mondo di gente che ha perso la strada. Il profeta parla e lo spirito agisce. Lo Spirito ridà la vita alle ossa aride. Al tempo di Ezechiele “la grande opera di Dio” fu quella di ridare vita a un popolo senza speranza. “Lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato”. Quel popolo conobbe la resurrezione e tornò in vita. E’ quello per cui preghiamo questa sera augurandoci che per i cristiani dell’Iraq – e per tutti gli iracheni - venga presto il giorno della Resurrezione!
Ringraziamo il Signore di essere noi testimoni di una storia che si mette in movimento e non si chiude nei sepolcri dell’immobilismo tragico. Un uomo e una fede spostano le montagne!