Intervento di Andrea Riccardi

alla presentazione del libro "Sant'Egidio: la storia, il culto, le fonti"

Ringrazio Chiara Mercuri, André Vauchez e Luigi Frudà per la loro presenza e il loro contributo a presentare “Sant’Egidio: la storia, il culto e le fonti”.  Quella di Sant’Egidio è una storia misteriosa, come può essere misteriosa una storia altomedioevale. Ma lo è anche la morte, lo spegnimento, la parcellizzazione del culto di Sant’Egidio. Egli è un santo di dimensione europea, che trova nel santuario di Saint Gilles du Gard un luogo di ringraziamento. Si tratta di un luogo di passaggio sul cammino di Compostela, un luogo di passaggio per il pellegrinaggio in Terra Santa, per i viaggi e i pellegrinaggi a Roma. Ma Sant’Egidio è anche scomparso, è rimasto come un culto di dimensione locale o addirittura un culto trascurato.

Il nome, secondo la visione ebraica, biblica, e anche cristiana, vuol dire molto. Ha una sua intensità, una sua storia, indica una vocazione e una missione: in questa parcellizzazione di Sant’Egidio c’erano tanti Sant’Egidio locali, quasi storie diverse tra loro. La biografia di Sant’Egidio, così remota e un po' complicata e lacunosa, era difficile da ricordare. Non è la storia di Francesco, non è Gregorio Magno, è una storia difficile da trasmettere alla pietà popolare, ma è diventato un nome miracoloso in tanti luoghi: a Saint Gilles du Gard, c’è l’abbazia distrutta, simbolo della Chiesa indivisa, durante le guerre di religione e il cui culto si è perso con la Rivoluzione francese. Oggi si può vedere Sant’Egidio restaurato  in questo paesino dell’Occitania, della petite Camargue, con 10mila abitanti, un Sant’Egidio “assediato” da abitanti non di origine francese. Perché  attorno a Sant’Egidio ci sono molti nordafricani, e poco più in là ci sono dei rom. Io trovo questo molto interessante: è una grande immagine, queste chiese quasi abbandonate o almeno decadute dalla grandezza di un tempo. E non posso non ricordare l’incendio di Notre Dame, che mi ha spinto a scrivere un libro sulla situazione della Chiesa oggi, con un punto interrogativo: La Chiesa brucia?

Queste rovine delle chiese, questi resti, queste chiese mute, segnano che la Chiesa brucia? Io penso che oggi, più che bruciare, la Chiesa è gelata, è consumata dal gelo, dalla freddezza dei fedeli, dallo scarso numero di vocazioni dalla freddezza della società. Diciamo, dall’irrilevanza.
Nel settembre ’73, abbiamo visto l’abbandono della piccola chiesa di Sant’Egidio a Trastevere, che era stata abitata dal 1610 al 1972 dalle monache carmelitane, poi trasferite in un monastero a Pescara. Povere monache, le quali dopo le soppressioni, avevano dovuto lasciare la parte più importante del monastero, che era diventato un centro per la salute, per la lotta antimalarica, dedicato a Marchiafava, un grande igienista, e si erano ridotte in una parte laterale di Sant’Egidio, al freddo, in condizioni disastrate. A Sant’Egidio abbiamo cominciato ad amare le chiese distrutte. E ricostruirle, così è stato per Sant’Egidio.

Vorrei allargare il discorso nel citare un bel libro di Tommaso Montanari sulle chiese chiuse, che hanno significato tantissimo per generazioni, ma che ormai perdono significato. Scrive: “Oggi non sappiamo cosa farcene di tutto questo ben di Dio! Non sappiamo cosa farcene. Io mi ricordo un vescovo di una diocesi che diceva: io, nella mia diocesi, ho mille chiese! Un tempo i suoi predecessori avrebbero detto: che ben di Dio! oggi lo diceva quasi con le lacrime”. Francis Meslet, un fotografo francese che ha pubblicato foto tragiche sulle chiese in rovina, parla della “patetica della rovina”: “Veri capolavori, una volta importanti, e poi simboli della rottura col passato, la rottura con le radici”. Non è solo la secolarizzazione, ma è anche un cristianesimo che non si nutre di storia, un cristianesimo emotivo, un cristianesimo deculturato. Insomma, il declino della Chiesa è anche la fine dei nomi di tante chiese. Chiese chiuse, vendute per altri usi. Tante le domande: cosa fare? Conservare tutte queste chiese? Questo vorrebbe dire rendere la Chiesa un museo? Si era pensato ad un progetto per tenere aperte una parte delle chiese antiche assumendo persone, soprattutto stranieri, integrarli e tenere aperte le chiese, conservarle.

Questo rapporto con le chiese che sono state e con la chiesina di Sant’Egidio, ha spinto la Comunità a ripopolare la chiesa di Sant’Egidio a Roma e a prenderne il nome. Molti chiedono: ma voi perché vi chiamate Sant’Egidio? Entrare a Sant’Egidio è stata anche l’occasione per conoscere la sua storia. Il nome non è solo un fatto di toponomastica. Il dialogo con la storia del santo ha fatto emergere una simpatica, libera sintonia con questa figura di pater pauperum e papa Francesco, in visita a Santa Maria in Trastevere, disse: Sant’Egidio sono tre P: poveri, preghiera e pace.

Credo che questo sia un fatto significativo nella nostra storia, perché si crea una sintonia e una simpatia. E in fondo radicarsi in una storia, di Sant’Egidio o di altri, fa scoprire una libertà verso il futuro, mentre un cristianesimo senza nomi, senza storia, senza santi è un cristianesimo deculturato. La storia di Sant’Egidio è stata il recupero e la rinascita anche di antiche chiese, al centro delle città. È la storia di San Bartolomeo all’Isola, con il Memoriale dei nuovi martiri, in questa chiesa che risale a, prima della divisione tra Oriente e Occidente, a Sant’Adalberto. È l’apertura di una chiesa a Ostia in una vecchia chiesa, il recupero del San Michele, ed è la trasformazione di due chiesette al centro, divenute luoghi per dormire per le persone senza fissa dimora.

È anche la trasformazione di Santa Maria in Trastevere, che in realtà era una cadente basilica del centro troppo grande, smisurata, per una parrocchia. I trasteverini si caratterizzavano per una scarsa partecipazione alla chiesa, Trastevere era il quartiere più anticlericale di Roma. Le visite pastorali degli anni ’20 denunciano una situazione molto pericolosa. Si dice anche che durante l’occupazione di Roma i tedeschi non amassero andare per le strade di Trastevere. I trasteverini avevano un rapporto forte con la chiesa solo in alcuni momenti, battesimi, matrimoni, funerali, In realtà era una chiesa vuota. Così Montanari descrive Santa Maria in Trastevere: “Ora le chiese possono diventare luoghi di assistenza fisica, corporale. Il Pranzo di Natale per i poveri, che ogni anno la Comunità di Sant’Egidio allestisce nell’antica e gloriosa basilica romana di Santa Maria in Trastevere, è un segno potente. È la forza redentrice dell’arte, il suo potere di liberazione, e suggerisce che tante altre chiese monumentali possano essere usare per accogliere, accudire e curare, conservando e proteggendo con cura il monumento e dandogli contemporaneamente un senso pieno. Mettendo insieme la cura delle pietre antiche e la cura delle persone vive”. È vero, il Pranzo di Natale è nella logica del presepe di Francesco.

La storia del rapporto con il nome di Sant’Egidio è stato riabitarne il nome, abitandone il luogo e dialogando con il nome stesso. A me sembra che una vicenda cristiana, la si veda in un modo o in un altro, crescendo, illuminata dalla lettura della Bibbia, non può non dialogare con pezzi della nostra storia comune. Per Sant’Egidio è stato con Francesco, è stato con Benedetto, più modestamente è stato con Sant’Egidio, ma anche con tante figure grandi e viventi del cristianesimo, non canonizzate, ma sicuramene significative. Concludo con le parole di Marco Bartoli: “Il suo santuario divenne meta di pellegrinaggi e la sua fama si diffuse in tutta l’Europa. Si può dire che fu più forte di guerre e distruzioni e seppe parlare alla cultura e alla fede di popoli tra loro lontani.
 

Trascrizione a cura della Redazione