alla presentazione del libro "Sant'Egidio: la storia, il culto, le fonti"
Gli autori di questo bel volume, Marco Bartoli e Francesco Tedeschi, hanno fatto un lavoro non direi da benedettini, ma da bollandisti. I bollandisti sono dei gesuiti che per tre secoli e mezzo hanno studiato e pubblicato le vite dei santi e sono considerati i migliori nello studio dei testi agiografici. Questo lavoro è di grande interesse, perché gli autori hanno per la prima volta messo insieme tre manoscritti. Di questi, due erano ben conosciuti e pubblicati, ma il terzo è un manoscritto ritrovato nella Biblioteca Vaticana, che ha un legame - non so se è un caso - con la basilica di Santa Maria in Trastevere, dato che è stato realizzato contemporaneamente alla ricostruzione della chiesa ad opera del papa Innocenzo II nel XII secolo. Oggi abbiamo per la prima volta, in questo libro, il testo integrale della leggenda, della vita e dei miracoli di Sant’Egidio, con la traduzione in italiano del testo dal latino, cosa non facile, trattandosi di un latino medievale.
Il libro, che si chiama Liber miracolorum, Libro dei miracoli, copre quasi un secolo di vita del santuario, perché l’autore del prologo e della prima parte, Petrus Guilelmi, li ha scritti in una data che si colloca tra 1120 e 1124, compreso anche un prodigio attribuito a Sant’Egidio, riconosciuto nel 1088 dall’arcivescovo di Reims. Dopo la sua scomparsa, un anonimo ha aggiunto altri 16 miracoli, nella seconda metà del XII secolo. L’insieme costituisce una raccolta di 31 miracoli, molto originali dal momento che non riprende solo modelli evangelici, qui è molto diverso. Abbiamo dei racconti ampi, che contengono molte informazioni, notazioni geografiche, storiche, politiche ogni volta diverse. Si tratta di veri e propri “gialli a lieto fine”, nel senso che raccontano tutte le miserie di uomini o donne che hanno sofferto, che erano minacciati di morte e poi si sono salvati grazie a Sant’Egidio.
Uno dei più belli è il sesto miracolo, che racconta la storia di un romano che era andato a combattere in Terra Santa e che fu fatto prigioniero dai saraceni nel 1104, nei pressi di Tripoli, nell’attuale Libano. Catturato dai musulmani fu venduto come schiavo e visse sette anni in prigione a Bagdad: tutto viene raccontato in maniera dettagliata. Dopo anni di prigionia, il soldato prega Sant’Egidio e improvvisamente le catene cadono e nella fuga incontra una cerva che lo guida, in modo molto misterioso, da Bagdad a Gerusalemme. Il ché non era così ovvio!
Quello che colpisce di più è che questi miracoli hanno un rapporto molto debole con il luogo dove stavano le reliquie di Sant’Egidio, cioè l’abbazia di Saint-Gilles, che è alla foce del Rodano, proprio alla frontiera tra la lingua d’Oca e la Provenza. I miracoli avvengono in tutta la cristianità e, cosa veramente stranissima, i paesi germanici rappresentano più della metà del totale, un 52% circa, poi seguono tutti i paesi europei, con la Francia in ultima posizione.
Un’altra originalità consiste nel comportamento dei pellegrini che arrivano a Saint-Gilles: non arrivano per toccare le reliquie o stare accanto alla tomba per una novena, ma vengono per ringraziare il santo di essere stati guariti, anche a distanza. Il miracolo a distanza era una novità, perché fin ad allora era fondamentale il culto delle reliquie. Bisognava toccare la tomba o la reliquia del santo per essere guariti. Non è così nei racconti dei miracoli di Sant’Egidio, che si svolgono in Polonia o in Germania e ovviamente non c’era stato contatto con le reliquie. Questo tipo di miracoli si diffonderà in tutta la cristianità negli ultimi secoli del medioevo, ma qui è la prima volta che si incontra; quindi, è veramente un fenomeno che merita di essere segnalato.
Anche i pellegrini che si incontrano a Saint-Gilles sono diversi dai tanti che frequentano gli altri santuari della stessa epoca, ciechi, sordi, paralitici e indemoniati e che si trovano molto spesso nei libri dei miracoli. Nel caso di Sant’Egidio invece si trovano soprattutto miracoli legati alla liberazione dal carcere: sono soprattutto mercanti, o cavalieri, o signori che sono stati fatti prigionieri e che riescono, grazie all’intercessione di Sant’Egidio, a tornare liberi e, addirittura, a uscire miracolosamente indenni da una impiccagione, grazie ad una corda che si spezza. Saint-Gilles, in tal senso, è stato un santuario precursore di una nuova forma di devozione, ma potrebbe anche darsi che si sia trattato di una strategia di comunicazione. Parlare dei tedeschi, dei polacchi era un modo di incitare tutti i popoli della cristianità a recarsi a Saint-Gilles.
Ma c’è un’altra pista da approfondire, che è il legame particolare che Saint-Gilles ha avuto in questi secoli (XI e XII secolo) con la Santa Sede e con Roma. In una “vita” si racconta di Egidio che a Roma acquista delle porte per l’abbazia che miracolosamente dopo qualche tempo arrivano in Provenza dopo aver attraversato il Mediterraneo. Questo racconto configura già il legame stretto che c’era tra Roma e Saint-Gilles.
I legami stretti con Roma sono confermati dal fatto che Pietro Guglielmo, che è l’autore della prima parte del Liber miraculorum ed era bibliotecario dell’abbazia è stato lo stesso a copiare, nel 1142, l’ultima versione del Liber pontificalis della Chiesa romana, il testo in cui, dal IV, V secolo, erano annotati, raccontati, i principali episodi di ogni pontificato romano. Il libro arriva fino al XII secolo e l’ultima versione, la più completa, è stata copiata da Pietro Guglielmo, bibliotecario di Saint-Gilles. Ed infine è stato il papa Urbano II ad aver inaugurato la grande basilica romanica di Saint-Gilles, di cui si vedono le rovine e oggi rimane solo la facciata. È molto importante il fatto che il papa sia andato appositamente lì per dedicarla. Questo significa che c’erano dei legami molto stretti tra il papato e l’abbazia.
Nel XII secolo il papato cerca di porre ordine al culto dei santi e di lì a breve si darà vita a nuove norme per i processi di canonizzazione, a partire da un maggior controllo sulle fonti agiografiche. La curia romana era piuttosto attenta in questo senso e accolse positivamente quei miracoli che avevano uno stretto collegamento con la vita religiosa, e i miracoli di Sant’Egidio sono di questo genere. Alcuni di essi riguardano la sopravvivenza delle persone, dopo la prigionia o dopo una caduta nel fiume Reno. Tipico il fatto che, dopo il miracolo, Sant’Egidio dica al miracolato: “Adesso ti ho guarito, ma cerca d’ora in poi di non peccare più”.
In questa raccolta di miracoli è significativo che l’autore citi un testo di Gregorio Magno che, a proposito di San Benedetto, dice che i santi fanno i più grandi miracoli lontano dalla loro tomba, per ricompensare la fede di quanti li invocano. Tanto più è grande la distanza, tanto più meritoria e importante è la grazia. È in questo contesto che si devono collocare questi miracoli, che sono veramente originali. Un’altra possibile spiegazione di tale originalità si potrebbe trovare con la presenza del movimento eretico in quella zona, nel XII secolo, movimenti di dissenso, che rimproverano ai chierici e alla Chiesa di diffondere racconti insostenibili, incredibili. Forse per questo motivo i monaci di Saint-Gilles hanno voluto mostrare alla gente che i miracoli del loro santo, Egidio, non erano solo un fatto di guarigione magica, toccando la tomba.
È interessante infine mettere in rilievo come l’abbazia di Saint-Gilles, nel XII secolo sia stata uno dei luoghi più importanti del movimento per la pace. Nel Medioevo, ci furono dei movimenti per la pace, talvolta spontanei, talvolta organizzati da vescovi e da alcuni monasteri, per fermare la violenza dei nobili nei paesi e tra i contadini e la gente comune.
Nel 1042 è a Saint-Gilles che venne firmata la prima tregua di Dio e quindi non è un caso che si parli tanto di pace nei miracoli di Sant’Egidio. E l’autore definisce la santità di Egidio come insieme di preghiera, poveri e pace. E mi sembra che sia una formula che può andare bene anche fino a oggi per la Comunità di Sant’Egidio.
Nei miracoli si parla anche di preghiere per la pace. Si cita il testo della seconda lettera di Paolo ai Corinti (12,10): “Quando sono debole, è allora che sono forte”. Interessante anche questa citazione, che non è così frequente in un trattato di miracoli. Poi si deve sottolineare che si tratta di un santo della Chiesa indivisa. Egidio non si sa bene quando sia vissuto, la cronologia è molto incerta, ma comunque è uno che al più tardi è vissuto nell’VIII secolo, sarebbe morto intorno al 720, quindi è un santo della Chiesa indivisa, prima della rottura fra Roma e Costantinopoli.
Questa vita, questi miracoli sono uno dei più bei prodotti dell’immaginario medioevale. Abbiamo l’esempio di un santo, Egidio, che lascia la città per andare a fare l’eremita, per recarsi in un luogo periferico della cristianità, lasciando una città famosa, colta, centro di studi, Atene,. E dunque Egidio sarebbe greco di origine. Anche il delta del Rodano, accanto al deserto della Camargue, era allora un deserto, un posto veramente periferico e minacciato in ogni momento dalle invasioni dei Saraceni. Anche questo aspetto può essere considerato come un’originalità, che forse potrebbe coincidere con alcuni degli ideali della Comunità di Sant’Egidio odierna.
Trascrizione a cura della Redazione