La testimonianza di un volontario della Comunità di Sant'Egidio tra i detenuti di Kupang
E' un Paese in via di sviluppo, l'Indonesia, in cui sono in atto profonde trasformazioni, ma quanto al sovraffollamento delle carceri il dato - fornito dal ministero locale e aggiornato al giugno 2024 - è assolutamente in linea con il resto del mondo: nei 531 istituti, con una capacità che si aggira sui 140.000 posti, sono effettivamente detenute 265.346 persone, con una sovraccapacità pari a circa l'89%. I problemi che affliggono queste strutture, dunque, sono purtroppo gli stessi che si riscontrano ovunque, anche in contesti che non per forza si trovano dall'altra parte del mondo: povertà, scarse possibilità di reinserimento sia lavorativo che sociale, dissoluzione dei rapporti familiari perché spesso i parenti all'esterno sono troppo lontani e indigenti per far visita ai detenuti.
Così, a supplire ad alcune mancanze pensano i volontari, come quelli della Comunità di Sant'Egidio, presente da anni in Indonesia, che settimanalmente o mensilmente - a seconda delle autorizzazioni che vengono rilasciate dalle autorità - segue alcuni detenuti da un punto di vista spirituale e non solo: «I reclusi indonesiani hanno bisogno di tutto - racconta il volontario Leonardo Tranggono - ci sono carceri particolarmente povere come Kupang dove hanno grandi difficoltà a sfamare la popolazione detenuta e dove periodicamente portiamo vestiti o per i quali organizziamo raccolte alimentari, ma cerchiamo di soddisfare anche altre esigenze particolari quando ci arrivano. Una bella tradizione che da un po' siamo riusciti a importare è anche quella dei pranzi di Natale, che ci consente di trascorrere un momento di festa con queste persone che ne hanno tanto bisogno». E poi, naturalmente, c'è il sostegno psicologico e spirituale, un'azione mirata che si pone l'obiettivo di non perdere le relazioni prima con la famiglia e poi con la società.
In questo grande Paese dell'Estremo oriente la Comunità è sbarcata in carcere dopo essere passata attraverso l'assistenza ai poveri e ai condannati a morte, perché qui la storia dell'istituzione penitenziaria e quella della pena capitale si intrecciano da sempre. Tutto è iniziato nel 2006, con la condanna a morte e poi l'esecuzione di tre cittadini cattolici nel carcere di Poso, contro il quale si erano levate, congiuntamente quanto purtroppo inutilmente, le voci del Papa e di alcuni movimenti musulmani.
Da allora, però, qualcosa è cambiato: «Lo scorso anno è entrato in vigore il nuovo codice penale che ha fatto ottenere a molti condannati a morte la grazia - spiega ancora Tranggono - la sua applicazione piena è prevista entro il 2026, ma già si vede che un processo di cambiamento è in atto, il codice precedente risaliva addirittura all'epoca della dominazione olandese!». Nel nuovo codice, la cui normativa è retroattiva, si restituisce al condannato a morte la possibilità di ravvedersi: nella pratica lo si fa stare in carcere per un periodo di prova, al termine del quale il giudice può decidere se commutare definitivamente la condanna capitale in una condanna penale.
«Anche se i tribunali stanno ancora emettendo sentenze di condanna a morte, ci sono elementi per sperare - afferma il volontario italo-indonesiano - di fatto è in atto uno svuotamento delle carceri, ad esempio si parla di amnistia per i tossicodipendenti che sono in prigione per reati legati a questo problema». Tra i detenuti nel braccio della morte che Sant'Egidio sta aiutando in questo momento, Tranggono mette in evidenzia due storie: «Abbiamo un detenuto che è dentro da molti anni per un reato grave nel carcere di Kupang, che si trova nella parte centrale del Paese, in una provincia a maggioranza cristiana. È una brutta storia di violenza in ambito familiare, ma ora con il nuovo codice questo detenuto potrebbe ricevere la grazia - racconta - poi c'è una donna rinchiusa a Semarang per reati di droga: è stata arrestata all'aeroporto perché trovata in possesso di stupefacenti, è una vittima dei narcotrafficanti come purtroppo molti altri indonesiani. Per fortuna questa donna, in prigione da 23 anni, è stata recentemente graziata dal presidente Joko Widodo».
Un processo lungo, dunque, e certamente non indolore, quello verso l'abolizione della pena di morte, che in Indonesia si può dire sia cominciato, anche grazie alla presenza della Comunità di Sant'Egidio: «La recentissima visita del Papa in Indonesia ci ha dato nuove forti speranze - conclude il volontario - vediamo i primi risultati anche se l'Asia è, diciamo, lo 'zoccolo duro' della pena di morte, un provvedimento totalmente inutile, come ha più volte detto Papa Francesco e come ha ribadito anche nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Singapore».
Così, a supplire ad alcune mancanze pensano i volontari, come quelli della Comunità di Sant'Egidio, presente da anni in Indonesia, che settimanalmente o mensilmente - a seconda delle autorizzazioni che vengono rilasciate dalle autorità - segue alcuni detenuti da un punto di vista spirituale e non solo: «I reclusi indonesiani hanno bisogno di tutto - racconta il volontario Leonardo Tranggono - ci sono carceri particolarmente povere come Kupang dove hanno grandi difficoltà a sfamare la popolazione detenuta e dove periodicamente portiamo vestiti o per i quali organizziamo raccolte alimentari, ma cerchiamo di soddisfare anche altre esigenze particolari quando ci arrivano. Una bella tradizione che da un po' siamo riusciti a importare è anche quella dei pranzi di Natale, che ci consente di trascorrere un momento di festa con queste persone che ne hanno tanto bisogno». E poi, naturalmente, c'è il sostegno psicologico e spirituale, un'azione mirata che si pone l'obiettivo di non perdere le relazioni prima con la famiglia e poi con la società.
In questo grande Paese dell'Estremo oriente la Comunità è sbarcata in carcere dopo essere passata attraverso l'assistenza ai poveri e ai condannati a morte, perché qui la storia dell'istituzione penitenziaria e quella della pena capitale si intrecciano da sempre. Tutto è iniziato nel 2006, con la condanna a morte e poi l'esecuzione di tre cittadini cattolici nel carcere di Poso, contro il quale si erano levate, congiuntamente quanto purtroppo inutilmente, le voci del Papa e di alcuni movimenti musulmani.
Da allora, però, qualcosa è cambiato: «Lo scorso anno è entrato in vigore il nuovo codice penale che ha fatto ottenere a molti condannati a morte la grazia - spiega ancora Tranggono - la sua applicazione piena è prevista entro il 2026, ma già si vede che un processo di cambiamento è in atto, il codice precedente risaliva addirittura all'epoca della dominazione olandese!». Nel nuovo codice, la cui normativa è retroattiva, si restituisce al condannato a morte la possibilità di ravvedersi: nella pratica lo si fa stare in carcere per un periodo di prova, al termine del quale il giudice può decidere se commutare definitivamente la condanna capitale in una condanna penale.
«Anche se i tribunali stanno ancora emettendo sentenze di condanna a morte, ci sono elementi per sperare - afferma il volontario italo-indonesiano - di fatto è in atto uno svuotamento delle carceri, ad esempio si parla di amnistia per i tossicodipendenti che sono in prigione per reati legati a questo problema». Tra i detenuti nel braccio della morte che Sant'Egidio sta aiutando in questo momento, Tranggono mette in evidenzia due storie: «Abbiamo un detenuto che è dentro da molti anni per un reato grave nel carcere di Kupang, che si trova nella parte centrale del Paese, in una provincia a maggioranza cristiana. È una brutta storia di violenza in ambito familiare, ma ora con il nuovo codice questo detenuto potrebbe ricevere la grazia - racconta - poi c'è una donna rinchiusa a Semarang per reati di droga: è stata arrestata all'aeroporto perché trovata in possesso di stupefacenti, è una vittima dei narcotrafficanti come purtroppo molti altri indonesiani. Per fortuna questa donna, in prigione da 23 anni, è stata recentemente graziata dal presidente Joko Widodo».
Un processo lungo, dunque, e certamente non indolore, quello verso l'abolizione della pena di morte, che in Indonesia si può dire sia cominciato, anche grazie alla presenza della Comunità di Sant'Egidio: «La recentissima visita del Papa in Indonesia ci ha dato nuove forti speranze - conclude il volontario - vediamo i primi risultati anche se l'Asia è, diciamo, lo 'zoccolo duro' della pena di morte, un provvedimento totalmente inutile, come ha più volte detto Papa Francesco e come ha ribadito anche nella conferenza stampa sul volo di ritorno da Singapore».
[ Roberta Barbi ]