Piccoli Comuni da ripopolare: la Chiesa sfida la politica

L’analisi

Mentre nel dibattito pubblico si discute dell’irrilevanza del mondo cattolico nella vita politica italiana, oltre 30 vescovi, provenienti da diverse regioni, si sono ritrovati a Benevento con il presidente della Cei Matteo Zuppi in una due giorni di

approfondimento e di confronto sul tema delle “Aree interne”, ovvero su quelle zone del Sud e del Nord Italia in preda allo spopolamento, minacciate da un declino che sembra inarrestabile.
La chiesa non entra a gamba tesa nella disputa politica, ma non rinuncia a farsi promotrice di istanze decisive per il futuro del Paese, questioni che vengono puntualmente ignorate dai partiti e dai leader politici anche in questa campagna elettorale.
Le Aree interne costituiscono una larga porzione del territorio italiano, che riguarda quasi la metà dei settemilanovecentoquatto comuni che coprono il 58% della superfice del suolo nazionale, dove vivono oltre 13 milioni di abitanti. Qui troviamo paesini di montagna, borghi antichi e centri rurali che piano piano si sono svuotati cambiando i connotati alla struttura sociale ed economica di intere aree, soprattutto quelle che insistono nelle dorsali appenniniche e nelle valli alpine.
Luoghi ormai disabitati dove i pochi abitanti rimasti sono “sentinelle che osservano il nulla” come ha scritto il poeta avellinese Franco Arminio. Un destino di marginalità a cui hanno contribuito anche i terremoti che hanno stravolto e a volte cancellato interi paesi, dal Belice all’Irpinia, dalla Val Nerina fino all’Abruzzo e all’alto Lazio.
La chiesa interpella la società e la politica, mette in guardia sul pericolo dell’applicazione dell’autonomia differenziata che accrescerebbe le diseguaglianze già esistenti nel Paese, come si legge nel documento finale redatto dai vescovi. Tuttavia,si interroga anche al proprio interno, perché il fenomeno della desertificazione delle chiese e dei seminari, il calo della pratica religiosa dei fedeli e la perdita di contatto con le nuove generazioni sono questioni aperte, che accomunano in qualche modo il futuro della vita religiosa a quella dei piccoli borghi.
Una lenta erosione che si avverte soprattutto nelle zone più disabitate, dove i preti devono dividersi tra tre, quattro o più parrocchie perdendo così il rapporto diretto con la gente, con la fatica di dover andare sempre in giro e di dover amministrare
contemporaneamente diverse realtà. Ma anche i centri urbani risentono di questa difficoltà, basta ricordare gli istituti e le scuole gestite da religiosi che hanno chiuso i battenti, vendute o svendute al miglior offrente che sono diventate alberghi, o che
sono svuotate e abbandonate.
Una crisi attestata dalla diminuzionedei sacerdoti, passati da circa 38mila nel 1990 a 32mila nel 2019,nonché delle religiose che nel giro di cinquant’anni si sono dimezzate riducendosi da 153mila a 75mila.
In questo scenario la parola rassegnazione per i vescovi non è prevista. Il presidente della Cei ha parlato di una sfida, un laboratorio per il futuro che partendo dalle Aree interne coinvolga il resto del Paese. Non si tratta di praticare cure palliative o
accanimento terapeutico né di accompagnare alla morte realtà agonizzanti. Non c’è niente di più triste di un paese che muore, ha affermato Zuppi.
I prelati hanno invocato interventi seri, concreti, intelligenti, ispirati a una “progettualità prospettica”, capaci di ridare carne ai “paesi dell’osso”. Certamente vanno aiutati i giovani che vogliono restare, così come vanno valorizzate le ricchezze
paesaggistiche, artistiche ed enogastronomiche di cui dispongono numerosi siti. Ma questi paesi non possono essere musei a cielo aperto. Per essere rigenerati occorre che si faccia leva sul senso di comunità e di destino che li caratterizza.
La presenza degli anziani rappresenta un patrimonio di umanità e di esperienze di vita che va assolutamente valorizzato. Se in Italia aumenta la speranza di vita, anche se nel Sud si vive di meno, emerge una domanda di cura, di assistenza e vicinanza
che può generare nuovi lavori e allo stesso tempo ricreare un tessuto di relazioni e di riferimenti. Anche i migranti rappresentano un’opportunità per ravvivare realtà soggette a un decremento progressivo della popolazione. E proprio il presidente della Cei ha parlato di una scuola che si è riaperta per la presenza di due famiglie siriane accolte in un borgo rurale.
Analogamente la chiesa per rinnovarsi non vuole chiudersi in vecchi schemi, abitudini o stili di vita che finirebbero per sclerotizzarla. Non può immalinconirsi e restare inerme rimpiangendo un tempo che non c’è più. Bisogna ripensare a una
nuova pastorale, a un ministero dei pretiriformatoche diversifichi funzioni e mansioni, confidando nel protagonismo e nella responsabilità dei laici, soprattutto delle donne.
I vescovi hanno accettato la sfida e si mettono in gioco, mentre la politica sembra sorda alle attese dei giovani che sono costretti a lasciare la propria terra, degli anziani sempre più soli e poveri e resta prigioniera delle sue vecchie liturgie.

[ Antonio Mattone ]