Apocalisse 3, 20-22
Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me. 21Il vincitore lo farò sedere con me, sul mio trono, come anche io ho vinto e siedo con il Padre mio sul suo trono. 22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese"".
Cari fratelli e sorelle,
vogliamo rivolgere al Signore un ringraziamento per quanto avvenuto in Terrasanta. Un primo passo per la fine di una guerra terribile, il rilascio degli ostaggi israeliani e la liberazione dei prigionieri palestinesi. Che non tornino più i giorni terribili, come il 7 ottobre e quelli seguenti, e si trovi la via della pace!
Mentre rivolgiamo queto ringraziamento al Signore, abbiamo nel cuore un grande dolore per la morte del nostro carissimo fratello Guglielmo Tuccimei, investito da un’auto sotto casa. Come un ladro è arrivata la morte. Se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa. È stato davvero un ladro della vita di quest’uomo buono, paziente e generoso.
La morte non lo ha colto quand’era sazio di anni, ma ancora preso in una vita attiva, generosa, aperta. Tutti, da Renata, Hirseyo, i suoi amici di una lunga vita passata insieme, i tanti altri che lo hanno conosciuto, che sono stati sostenuti da lui, che hanno avvertito la brutalità di questo che è un furto. Sì, furto di una vita, furto d’amore rubato a troppe persone.
Non eravamo sazi dei suoi anni. Lo aspettavamo ancora alla mensa, lo aspettavamo ai tanti appuntamenti disseminati nella nostra città. Chi andrà al posto suo? Il perché della morte è un mistero amaro, che rivela quanto sia fragile la vita di ognuno di noi e quanto non la si debba sprecare. Ma la sua morte è una chiamata a noi.
Chi raccoglierà il suo mantello? Si chiedeva Eliseo vedendo partire Elia in cielo. E il suo mantello era grande, copriva molti senza casa, il suo mantello era diventato una casa per gli altri, era un sostegno per chi aveva bisogno, era una tenda sicura, una tenda di sicurezza per la vita di tanti.
Forse ancora non ci rendiamo conto di quanto fosse largo il suo mantello, dove arrivasse il suo mantello, le sue mani aperte, il suo sorriso. Arrivano continuamente messaggi e si fanno vive persone che dicono quanto Guglielmo era importante per loro.
Molti, moltissimi, lo ricordano sulla porta della nostra mensa per anni, dove ha accolto chi aveva fame, chi non aveva nessuno, chi cercava famiglia. Dove ha disciplinato bonariamente l’ingresso e la convivenza nelle stanze troppo strette. Ecco, io sto alla porta. A quanti ha aperto la porta? E con quanti ha cenato negli anni?
Già da prima dell’apertura della mensa aveva capito la fame che c’è nella nostra città, e la solitudine. Andava ad aiutare, e ha continuato a farlo, chi stava alla stazione Tiburtina. Che tante volte, cari amici, non si ha la forza di bussare, e bisogna avvicinare la porta.
Per anni sulla porta della mensa, dall’inizio, per 37 anni. È il simbolo di una vita, quella porta, quell’immagine, quel sorriso. L’attesa che l’altro non restasse solo, che non restasse fuori, ma entrasse in quel circuito di amore e di fraternità che è la Comunità nei suoi tanti volti. 37 anni di fedeltà ai poveri, alla cultura e alla pratica della ospitalità, all’inclusione, alla lotta contro l’esclusione, a mani nude, con la parola, con il sorriso, con un interessamento memore.
Un uomo, un volto, un corpo, che si era fatto una presenza buona, un simbolo dell’accoglienza. Conosceva tutti, tanti, e accoglieva con bonarietà. Essere amici di Guglielmo era per molti un modo di appartenenza, un modo di dirsi partecipi di quella famiglia che siamo noi. Lo dicevano: io sono un amico di Guglielmo! Perché amico, per lui, per noi, non è una parola slavata, è una parola sapida, è una parola evangelica, è una parola famigliare.
E Guglielmo non ti abbandonava, nemmeno se finivi a Regina Coeli o nemmeno se ti perdevi. Trovava una sistemazione, anche se quella sistemazione sembrava impossibile. Lui non voleva vedere i suoi amici dormire per strada.
Cari amici, la porta è un’immagine biblica ricorrente. È Gesù stesso, è il passaggio decisivo della vita. Guglielmo è stato alla porta, ha sentito bussare. Quante persone conosceva per nome da anni! Anzi, ogni giorno lottava contro l’anonimato di questa città. Quanta gente non è mai chiamata per nome da nessuno!
Per molti essere amico di Guglielmo era conoscere una persona importante a Roma, una persona che si prendeva cura di te, che realizzava le cose. Guglielmo, alla mensa e altrove, è stato l’orecchio attento della Comunità, di tutti noi, ai bisogni dei poveri.
Ma chi era? Ma chi era che bussava? Nell’Apocalisse è Gesù. In ogni bisognoso, naturalmente, con molta umanità, vorrei dire anche con semplicità, Guglielmo ha saputo riconoscere che era Gesù fuori dalla porta. Senza retorica, con una spontaneità umana e anche romana, che non vuol dire faciloneria, ma anzi, assunzione di un problema di un amico.
Un amico, mai un caso! Questo è il nostro spirito, questo è lo spirito di Sant’Egidio, i poveri come amici e come parenti.
Scrive Leone XIV nella sua recente Esortazione Apostolica: Il cristiano non può considerare i poveri solo come un problema sociale, essi sono una questione famigliare, sono dei nostri. Ci ritroviamo molto in queste parole, e in queste parole ritroviamo molto il nostro caro Guglielmo.
Una spontaneità naturale, come in famiglia. Tanto aveva fatto di questo la realtà della sua vita, Guglielmo era un nome, Guglielmo era un’opera, era un volto. Guglielmo era una quercia, piantata nelle strade della nostra città, cui tutti si potevano appoggiare con sicurezza: tutti. Tutti vuol dire anche quelli che nessuno vorrebbe appoggiato a se stesso, anche quelli che fuggono e non si appoggiano, anche quelli che hanno paura, anche quelli che vengono evitati.
Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Guglielmo, che veniva da una famiglia da tempo agiata, ha speso decenni e decenni della sua vita sulla porta, per strada, e ne vediamo i frutti. Si potrebbe dire che ha accettato per sé non di salire le scale, piuttosto di scenderle. Ha accettato per sé di camminare per strada, in mezzo a un mono anonimo. Non ha desiderato affermare il suo io, di salire più in alto, con quell’ansia che ci prende talvolta di non essere nessuno, con quella volontà che ci prende di essere qualcuno. Insomma, di uscire dall’anonimato.
Guglielmo si è immerso nell’anonimato degli anonimi, dei senza casa, dei senza cibo, dei senza nome, dei senza famiglia. Ho parlato di un’ansia di salire le scale, non deprecabile. Però, si potrebbe dire che nessuno conosceva Guglielmo, nessuno di quelli che contano, si potrebbe dire che non aveva un ruolo sociale riconosciuto. La sua morte è stata come una rivelazione. Guglielmo non è fatto strada, ma ha fatto strada ai poveri, e i poveri hanno fatto strada a lui.
Lo hanno scoperto i giornali e hanno parlato di lui come di qualcuno di importante per la Roma delle strade. E raramente un popolo di gente, tanti e tanti si sono fatti vivi con noi, per dire il suo dolore. Eppure, la sua vita era accompagnata quasi dal nascondimento, lavorava anche di notte. Questo è il nostro spirito.
In questo tempo tutto denaro potremmo dire che Guglielmo aveva puntato sulla strada sbagliata? Non si arricchiva, non diventava famoso. Eppure, la vita, mi permetto di dire la storia - perché c’è la storia dei poveri, che fa parte della grande storia - la vita e la storia l’hanno imposto come un personaggio grande.
Un umile grande, un grande della Roma sotterranea che si impone alla città, dicendo che c’è un’altra strada, la via del Vangelo e dei poveri.
Lui ha vinto il male della miseria nella città. "Il vincitore lo farò sedere presso di me sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul trono". Il trono è il simbolo di grandezza, la grandezza unica di una persona. Qui è il trono di fronte a Dio, il trono di colui che ha seguito e imitato il figlio di Dio.
Ho detto che Guglielmo non è morto sazio di anni. Mi dispiace tanto questo distacco, ci dispiace tanto, ma oggi Guglielmo, seduto accanto a Dio, ti chiediamo, prega per noi. E ti ringraziamo a nome di tanti. Non abbiamo avuto tempo, come con un malato e come una persona che si sta spegnendo, di avvicinarci e di guardarti negli occhi e di dirti ti voglio bene.
E oggi qui, in questo luogo che era tanto caro a te, che frequentavi da anni e anni, noi ti diciamo: Guglielmo, ti vogliamo bene.