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Nel forum "La guerra non è inesorabile: immaginare la pace" voci e proposte per superare il cristallizzarsi delle guerre

 

 

La guerra non è una fatalità, si deve "immaginare la pace". Non si tratta di trovare formule che si cristallizzano ma, come ha sottolineato Mohammed said Al Amari, ministro degli affari religiosi dell'Oman, ma "immaginare una nuova pace che è un concetto che si evolve e richiede lavoro continuo". Per porre le basi di una pace duratura bisogna rafforzare i diritti umani e guardare al Documento sulla fratellanza umana firmato nel 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal rettore di Al Azhar Al-Tayyeb. Il problema è che si cristalizzano le guerre, come quella nell'est della Repubblica democratica del Congo che, dice Fridolin Ambongo Besongu, arcivescovo di Kinshasa, dura da 30 anni con 6 milioni di morti e quasi quattro milioni di sfollati interni. Le guerre vanno anche raccontate meglio, con più precisione. Si è sviluppata una vera e propria “economia di guerra” a vantaggio di un ristretto numero di signori della guerra e a scapito della popolazione locale. Così la guerra diventa un business e le milizie pagano i salari a un'intera generazione di giovani disoccupati, compresi i bambini. Non è quindi un caso che le scuole elementari della provincia del Nord Kivu "siano diventate obiettivi militari per costringere i bambini a non sognare un futuro diverso dalla guerra (e colgo l'occasione per ringraziare anche la Comunità di Sant'Egidio per il suo impegno a sostegno dei bambini e degli altri nei campi profughi di Goma)". Tre orientamenti sono decisivi per innescare processi di pace veri: dare voce alle vittime e ascoltarle; non pensare di poter trovare soluzioni unilaterali; cambiare la narrazione, dando priorità alle ragioni della pace rispetto ai disastri della guerra.
Hussein Kavazovic, gran mufti di Bosnia Erzegovina, vi aggiunge un modo particolare di vivere la memoria. Lui ha firmato nel gennaio scorso a Srebrenica, dove furono massacrati oltre 8 mila musulmani, un documento con la Rete internazionale dei figli dei sopravvissuti ebrei alla Shoah: si mantiene aperto un canale di comunicazione tra le due fedi anche nei momenti in cui la violenza sembra prevalere. Le due realtà si sono impegnate a lottare insieme contro guerra, razzismo, discriminazione, che sono stati aspetti che hanno favorito l'incubazione di odio mortale e genocidi.