Quest’anno ricorrono gli ottanta anni del Roma Genocide Remembrance Day, la giornata in ricordo del genocidio dei Rom e Sinti durante la Seconda guerra mondiale, definito in lingua romanì Porrajmos (divoramento) o Samudaripé (strage).
Furono 4.000, in maggioranza donne e bambini, le persone che quella notte perirono nelle camere a gas; facevano parte dei 23.000 Rom e Sinti (Zigeuner, come venivano definiti nei documenti) deportati ad Auschwitz.
Così Piero Terracina, sopravvissuto ad Auschwitz e testimone diretto della liquidazione dello Zigeunerlager, ricorda la notte del 2 agosto 1944:
"Ero rinchiuso ed era notte e c’era il coprifuoco, però ho sentito tutto. In piena notte sentimmo urlare in tedesco e l’abbaiare dei cani, dettero l’ordine di aprire le baracche del campo degli zingari; da lì grida, pianti e qualche colpo di arma da fuoco. All’improvviso, dopo più di due ore, solo silenzio e dalle nostre finestre, poco dopo, il bagliore delle fiamme altissime del crematorio. La mattina, il primo pensiero fu quello di volgere lo sguardo verso lo Zigeunerlager che era completamente vuoto; c’era solo silenzio e le finestre delle baracche che sbattevano”.
Racconta Ceija Stojka, rom austriaca sopravvissuta ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Ravensbrück, durante un pellegrinaggio organizzato dalla Comunità di Sant’Egidio ad Auschwitz-Birkenau nel 2009:
“Quando io e la mia famiglia arrivammo qui ad Auschwitz nell’aprile del 1943, i bambini e gli anziani avevano viaggiato schiacciati, stretti nel treno. Mia mamma era allo stremo delle forze, mio fratello faceva fatica a respirare. Quando siamo arrivati siamo tutti caduti dal vagone del treno, le SS hanno camminato sui nostri corpi. I nazisti godevano di questo. Noi abbiamo visto l’orrore ogni giorno, sentivamo l’odore della morte ogni giorno. Eravamo dei bambini. Siamo stati cinque volte proprio davanti al crematorio, aspettando di essere uccisi. Ma non ci hanno ucciso, hanno risparmiato il gas. Occorrevano cinque barattoli per ucciderci, era un costo troppo alto da spendere per degli zingari. Ricordo una bambina zingara con sua madre che ho incontrato prima della nostra liberazione. La bambina aveva solo quattro anni e, per farla sembrare più grande, le avevo dato la mia gonna. Io avevo nove anni. Questa bambina aveva in mano una mela. L’uomo delle SS l’ha presa per mano e l’ha messa contro il muro. La bambina ha fatto cadere la mela e l’SS l’ha fucilata. Poi si è girato verso di noi e le ha sparato di nuovo. Come possiamo vivere con questi ricordi? Come possiamo dimenticare quello che abbiamo vissuto? Non è possibile dimenticarlo! Se il mondo non cambia adesso, se il mondo non apre porte e finestre, se non costruisce la pace, la pace vera, allora non so davvero perché sono sopravvissuta ad Auschwitz, Bergen-Belsen e Ravensbrück”.
Con queste parole Rita Prigmore, una sinta tedesca sopravvissuta agli esperimenti di eugenetica dei nazisti sui gemelli, così si rivolge ad un gruppo di giovani:
“Oggi faccio parte di una missione internazionale di pace, grazie alla Comunità di Sant'Egidio, che lavora per la pace in molti campi diversi. Quando ero ad Auschwitz con la Comunità, nove anni fa, ho raccontato la mia storia a più di 400 giovani provenienti da tutta Europa. Non è stato facile per me. Molti, molti della mia famiglia sono stati assassinati ad Auschwitz. Leggere tutti i loro nomi su una lavagna e vedere le loro foto mi ha molto scosso. Ma ha cambiato anche qualcos’altro in me: L'incredibile sofferenza che ho visto lì mi ha fatto capire che la sofferenza non si supera con l'odio, ma con il perdono. Il perdono è una grande forza! Credo che solo il perdono costruisca il futuro, l'odio deve essere una cosa del passato. Il futuro può essere costruito solo con la comprensione reciproca. Non si può costruire nulla con l'odio. L'odio e la guerra non portano a nient'altro che a nuovo odio e distruzione, a divisione e nuova sofferenza. Io ho perdonato. Ho perdonato, ma non dimenticherò mai. Potrei raccontare per ore delle grandi sofferenze vissute dalla mia famiglia e dai miei amici, a causa delle persecuzioni, discriminazioni, sterilizzazioni forzate e violenze. Ma non sono pessimista, perché so che insieme possiamo cambiare il mondo, perché diventi più umano! Costruiamo una società in Europa e nel mondo in cui i Sinti, i Rom e tutte le altre minoranze non siano più discriminati. Non restiamo in silenzio di fronte all'ingiustizia! Alziamo la voce contro l'indifferenza! La pace inizia da ognuno di noi. Non odiamo coloro che ci sono estranei. Parliamo con gli altri, superiamo i nostri pregiudizi. Perché ho visto con i miei occhi che ogni pregiudizio può finire in un disastro, come Auschwitz”.
La memoria del Porrajmos è occasione di riflessione sul male generato dalle ideologie razziste, che hanno preparato il terreno alla discriminazione e all’annientamento nei campi di concentramento e sterminio. È una storia di disprezzo e persecuzioni della minoranza più numerosa d’Europa. Una ferita del continente europeo, che interroga le coscienze su quante parole e atteggiamenti violenti siano ancora rivolti al popolo Rom e quanto ancora sia lontana una piena integrazione scolastica, sanitaria e abitativa di una minoranza giovanissima, composta ancora oggi soprattutto di minori.