APPELLI

L'appello per il Sudan: “Accendere i riflettori sulla catastrofe umanitaria, l’Italia rilanci le trattative di pace”

Gli interventi di Sant’Egidio, Medici Senza Frontiere, Emergency, Missionarie salesiane, Missionari Comboniani

 

“Siamo qui per accendere i riflettori sul Sudan, un paese in cui è in corso una catastrofe umanitaria e dimenticato dai più”. Così Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, alla conferenza stampa dedicata alla gravissima emergenza umanitaria in Sudan, a cui sono intervenuti anche Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi in Sudan di Medici Senza Frontiere, Pietro Parrino, direttore del Dipartimento Progetti di Emergency, Suor Ruth del Pilar Mora, consigliera per le Missioni delle suore salesiane e padre Angelo Giorgetti, economo generale dei Missionari Comboniani.

“Chiediamo al governo italiano, vista la presidenza del G7 e l’impegno di un nuovo interesse verso l’Africa attraverso il Piano Mattei, una ripresa dei negoziati per un cessate il fuoco immediato”, ha aggiunto Impagliazzo, che ricordando gli aiuti già portati in alcune aree di crisi della regionee, ha sollecitato anche “un accesso umanitario senza restrizioni per rispondere ai civili che soffrono la fame”.

“Il Sudan è nella più grande crisi della sua storia, una guerra civile che ha seguito due colpi di stato e un lungo periodo di instabilità. Si usa l’aviazione e l’artiglieria pesante persino nella capitale Khartoum. Una larga parte della popolazione è dovuta fuggire: su circa 47 milioni di abitanti, quasi dieci milioni sono gli sfollati interni, due quelli nei paesi limitrofi, soprattutto in Egitto e Ciad. Per questo è essenziale rilanciare il negoziato”, ha concluso Impagliazzo, ricordando la presenza a El Obeid di una Comunità di Sant'Egidio.

"In Sudan stiamo aprendo nuovi centri nutrizionali; nei giorni scorsi è accaduto anche in un'area rurale del Darfur occidentale: la struttura si è riempita in un giorno solo e abbiamo dovuto subito aggiungere letti". Lo racconta Vittorio Oppizzi, responsabile dei programmi in Sudan di Medici senza frontiere (Msf): "Solo nella capitale i combattimenti hanno avuto un impatto su sette milioni di persone", denuncia. "Khartoum ora è una città fantasma”. Oppizzi riferisce che proprio la settimana scorsa Msf ha dovuto sospendere le proprie attività in un ospedale a Khartoum, per la situazione che si era venuta a creare.

Le missionarie salesiane restano a Khartoum nonostante la guerra e sono anche testimoni dell'aumento del numero delle persone rifugiate che dal Nord si dirigono in Sud Sudan. Lo ha sottolineato suor Ruth del Pilar Mora, consigliera dell'Istituto delle figlie di Maria ausiliatrice: "Volevamo continuare a stare al fianco della popolazione, in particolare sul piano educativo: gestivamo una scuola informale che prima del conflitto era frequentata da 700 bambini. Ora restano 110 persone: due volte siamo stati colpiti direttamente dai bombardamenti e così non tutti gli spazi abitativi si possono usare".

In Sudan “c’è una generazione di bambini e adolescenti che da oltre un anno è al di fuori di ogni tipo di scuola e di ogni possibilità di formazione". Lo spiega padre Angelo Giorgetti, economo comboniano, per 16 anni missionario nel Paese dell’Africa: "Ci troviamo di fronte a una situazione complicata. Le nostre tre comunità a Khartoum sono state tutte evacuate perché in si trovavano in posizioni molto centrali, fin dall'inizio terreno di combattimenti diretti: l'intera popolazione è fuggita da quelle zone”. I comboniani non hanno però lasciato il Paese, terra di missione sin dal XIX secolo. "Abbiamo mantenuto tre comunità, a Kosti, a El Obeid e a Port Sudan”. Il campo dell'istruzione resta per noi importante per il dialogo con la popolazione, in stragrande maggioranza musulmana".

“In mezzo a grandi difficoltà siamo riusciti comunque ad operare 11mila persone”, racconta Pietro Parrino, direttore del Dipartimento progetti di Emergency. “A Khartoum, capitale in gran parte svuotata dei suoi abitanti manca l’elettricità e quindi anche altri beni essenziali come l’acqua che viene presa solo da pozzi superficiali. Scarseggia il cibo sano e le forze in campo ostacolano il passaggio degli aiuti umanitari. Ma è importante restare per continuare a curare chi è in pericolo di vita”.