Nel forum “Carcere: fallimento, resilienza, speranza” è emersa forte la richiesta che arriva dai detenuti di non essere abbandonati nella loro solitudine e separazione del mondo fuori dal carcare.
Lo ha testimoniato Geoffrey Mambaya - carcerato per 10 anni in Zambia e fondatore della Prisoners’ Future Foundation - che ha trovato salvezza dalla prigionia grazie alla speranza che arrivava dalle lettere di un amico di penna e, uscito dal carcere, ha deciso di sostenere i diritti materiali e spirituali dei carcerati, non solo africani.
Silvia Davila - della Commissione per le Attività Sociali della Conferenza Episcopale Peruviana - ha evidenziato come le donne detenute e i loro bambini sono ancora più invisibili alla società gravate di uno stigma sociale e in sistemi carcerari progettati solo da una prospettiva maschile.
Doris Schaefer - Coordinatrice per l’Europa dell’International Commision of Catholic Prison Pastorale Care) - ha ricordato come i detenuti abbiano bisogno di persone che facciano giungere le loro parole al di là dei muri, e li aiutino a tradurre in parole ciò che provano e vivono, perché il carcere è il luogo dove si pongono domande fondamentali sulla vita e sulla fede.
L’urgenza di restituire dignità ai carcerati è stato sottolineato anche da Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio, che ha raccontato nelle visite ai detenuti i percorsi personali per ricostruire una famiglia in carcere superando muri fisici e mentali.
Daniele Garrone, presidente della Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, richiama alla responsabilità di ognuno nell’aiutare a riparare quanto si è strappato nella vita dei detenuti, in un sistema carcarario che fallisce nella rieducazione e nella risocializzazione. Fallimento che riconosce anche Joseph Dede, magistrato di sorveglianza in Costa d’Avorio, impegnato a migliorare il sistema carcerario a partire dalla necessità di rimettere al centro le persone oltre alla colpevolezza.