Gesù ha subito l’esclusione come i poveri, ma vince l’amarezza per l’esclusione con l’umanità e la compassione. Omelia di don Vittorio Ianari nella memoria di Modesta Valenti

 

 

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corìnzi
1Cor 13,4-13

Fratelli, la carità è magnanima, benevola è la carità; non è invidiosa, non si vanta, non si gonfia d’orgoglio, non manca di rispetto, non cerca il proprio interesse, non si adira, non tiene conto del male ricevuto, non gode dell’ingiustizia ma si rallegra della verità. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.
La carità non avrà mai fine. Le profezie scompariranno, il dono delle lingue cesserà e la conoscenza svanirà. Infatti, in modo imperfetto noi conosciamo e in modo imperfetto profetizziamo. Ma quando verrà ciò che è perfetto, quello che è imperfetto scomparirà. Quand’ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino. Divenuto uomo, ho eliminato ciò che è da bambino.
Adesso noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia. Al presente conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto. Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!
 

Dal Vangelo secondo Luca
Lc 4,21-30
 
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato».
Tutti gli davano testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso. Quanto abbiamo udito che accadde a Cafàrnao, fallo anche qui, nella tua patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele al tempo di Elìa, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elìa, se non a una vedova a Sarèpta di Sidòne. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro».
All’udire queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in cammino.

 

Omelia di don Vittorio Ianari

Care sorelle e cari fratelli,
quella sinagoga in cui Gesù prende la parola è collocata nella cittadina di Nazareth, dove lui era cresciuto. E Gesù va lì a Nazareth, va dai suoi, va da quelli da cui sperava di avere una buona accoglienza. Ma in realtà non è certo bene accolto, anzi, il Vangelo ci parla di rifiuto della sua parola, di esclusione, di un gesto di emarginazione, lo cacciano fuori dalla città e addirittura, alla fine, di violenza, vogliono eliminarlo.
E questo brano del Vangelo si conclude in modo un po' misterioso: Gesù che passa in mezzo a loro e riprende il cammino, se ne va. Dove va Gesù? Cacciato dalla sua Nazareth anche lui vive per strada e dice di se stesso a un tale che dice: Ma io ti voglio seguire! Dice: Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il figlio dell’uomo non ha dove posare il capo.
Gesù è respinto dai suoi ma è vicino a noi. Non fa di quell’episodio un’amarezza incancellabile, al contrario è vicino a noi, ci è amico perché ha provato quello che la nostra cara sorella Modesta e tanti, tante come lei hanno provato: inaccoglienza, rifiuto, esclusione, emarginazione.
Ma poi vedete, cari amici, ci è vicino il Signore Gesù anche per un altro motivo, anch’esso molto importante. Subisce, è vero, l’amarezza dell’esclusione lì a Nazareth e anche in tanti altri episodi che il Vangelo ci narra, ma egli sempre lotta perché questa esclusione, questa amarezza non sia l’ultima parola. E allora come lotta il Signore? Lui escluso, non esclude. Lui rifiutato, non allontana da sé, lui emarginato non emargina a sua volta.
L’immagine che abbiamo e che guida questa liturgia, l’icona, è l’immagine che raffigura la parabola del buon samaritano. Ed è il Signore Gesù quel buon samaritano, che a differenza di quanto anche lui subisce, come tanti nostri fratelli e molti di noi qui presenti, l’esclusione, l’emarginazione, lui come quel buon samaritano invece si ferma, si china, si prende cura.
E così quella che è la sua vita, la sua lotta, diviene una proposta anche per noi, che noi sentiamo così vera e così accettabile, gradevole, proprio celebrando questa liturgia in ricordo di Modesta e di tanti nostri fratelli e sorelle che abbiamo conosciuto, accompagnato, con cui abbiamo vissuto insieme lungo questi anni. E la proposta del Signore è quella di fare anche noi la sua lotta, senza farci vincere dall’amarezza o dal desiderio di rivalsa.
Questo è quanto vediamo nell’immagine che custodisce anche la preghiera che vogliamo rivolgere insieme al Signore. Quell’uomo ferito è abbandonato ai margini della strada, Gesù si ferma, si china, si prende cura. È così che sull’amarezza per l’esclusione prevale l’umanità e la compassione.
Qualcuno potrebbe dire: Ma, quest’atteggiamento, bello, è tanto raro, soprattutto forse in questo nostro tempo. È tanto raro. Il mondo, come quelli di Nazareth quel giorno, rifiuta, esclude e arriva a fare violenza. Sì, è vero, è proprio per questo che ci siamo voluti raccogliere insieme, per dire al Signore che vogliamo lottare e chiedere a lui la forza per farlo. Per dirgli che siamo convinti che l’esclusione possa non essere l’ultima parola e che noi siamo con lui e siamo amici suoi per dare anche noi la nostra concreta testimonianza di questa verità possibile.
Anche perché quello che alla fine resta non è certo l’esclusione che emargina. Semmai l’esatto contrario, i gesti, i pensieri, i momenti di accoglienza, di amicizia, di memoria fedele.
Vedete, quelli di Nazareth allontanano Gesù tutti convinti delle loro motivazioni, ma dopo che Gesù, passando in mezzo a loro riprende il cammino, cosa resta a Nazareth? Cosa resta di Nazareth? Niente. Non se ne parla più nei Vangeli, non resta nulla.
Ma possiamo dire lo stesso per Modesta. Cosa è rimasto di tutto quello che l’ha respinta quella sera, lì, alla stazione Termini? Niente. Ma noi restiamo, siamo qua. Siamo qui a ricordare lei e tanti nostri amici, noi restiamo e quello che l’ha esclusa scompare nell’oblio. Noi restiamo come testimoni di questa vittoria possibile dell’amicizia, dell’incontro fraterno, della memoria fedele, dell’accoglienza, dell’ospitalità. E questo perché per noi l’esclusione non è stata, non è e non sarà l’ultima parola.
Vedete su in alto, nell’immagine del mosaico, Gesù e sua madre Maria che si abbracciano. Lo fanno per darci un esempio. Il Signore vuole che così vivano gli uomini. In questo tempo di pandemia non si può abbracciare fisicamente, ma ci mancano questi abbracci e non vogliamo che l’impossibilità fisica, causata dal distanziamento necessario, faccia venir meno il sentimento e anche l’attesa di potersi tornare ad abbracciare.
Il Signore Gesù con sua madre ci danno l’esempio. Il Signore vuole che così vivano gli uomini, perché questo resta. Quello che resterà è infatti proprio questo, la vicinanza e l’amicizia, proprio come ce l’ha mostrata il Signore. Questo non passerà.
E per questa verità, che abbiamo sperimentato con l’amicizia con lui e con i nostri fratelli, le nostre sorelle, per questa verità, che abbiamo sperimentato in modo così concreto per tutta la vita, rendiamo grazie al Signore.