"Raccogliere il grido di chi soffre e affonda". L'omelia di don Marco Gnavi alla preghiera per i migranti morti nel naufragio davanti alla Libia

Salmo 69, 2-4.15-16.21-22. 33-34
Meditazione di mons. Marco Gnavi


Sorelle, fratelli,
siamo nuovamente raccolti innanzi alla croce di Lampedusa, le cui braccia sono composte da ciò che rimane delle imbarcazioni affondate nel Mediterraneo. Questa croce raccoglie oggi il grido disperato e l’angoscia dei 130 profughi annegati nella notte fra giovedì e venerdì scorso, davanti alle coste libiche. Donne e uomini, bambini, inghiottiti dal mare, dopo aver atteso invano i soccorsi per ventisette ore, dal momento in cui hanno lanciato la richiesta di soccorso. Il loro grido di aiuto e le loro braccia alzate verso il cielo non sono stati sufficienti per scuotere le autorità europee, italiane, libiche e maltesi, nell’indifferenza delle istituzioni e di noi tutti. Guardando la croce, ci sembra di vedere i loro volti, le lacrime, ci sembra di percepire la paura e la terribile solitudine, come quella espressa dal Salmo 69. Un uomo si rivolge a Dio, perché intorno a lui c’è una congiura del silenzio e dell’indifferenza. Non ha altri; confessa infatti:
Mi aspettavo compassione, ma invano, consolatori, ma non ne ho trovati (v.21b)
Può l’Europa intera, possiamo noi volgere gli occhi altrove? L’abitudine al dolore altrui è pericolosa. E noi abbiamo celebrato da poco la Passione, la morte del Signore e la Pasqua. Proprio nel punto più alto dell’amore del Signore Gesù, irriso nell’angoscia dell’abbandono, gli dicevano gli dicevano: “salva te stesso, scendi da solo dalla croce”.
Nessuno può scende da solo dalla croce. Nessuno si salva da solo. Dobbiamo raccogliere il grido di chi soffre e affonda. E la preghiera a Dio del salmo 69 ci ricorda che siamo una sola famiglia in umanità.
Salvami, o Dio: l'acqua mi giunge alla gola. Affondo in un abisso di fango, non ho nessun sostegno; sono caduto in acque profonde e la corrente mi travolge.. Sono sfinito dal gridare, la mia gola è riarsa; i miei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio (vv.2-4)
Liberami dal fango, perché io non affondi, che io sia liberato dai miei nemici e dalle acque profonde. Non mi travolga la corrente, l'abisso non mi sommerga, la fossa non chiuda su di me la sua bocca. (vv.15-16).
Talvolta la Bibbia dà voce, così appassionata e autorevole al comune grido di dolore degli uomini e delle donne.
La morte di questi nostri fratelli e di queste nostre sorelle, è un appello doloroso a lasciarci scuotere. Papa Francesco, questa domenica, dopo l’angelus, si è così espresso: “Centotrenta migranti sono morti in mare. Sono persone, sono vite umane, che per due giorni interi hanno implorato invano aiuto, un aiuto che non è arrivato. Fratelli e sorelle, interroghiamoci tutti su questa ennesima tragedia. È il momento della vergogna. Preghiamo per questi fratelli e sorelle, e per tanti che continuano a morire in questi drammatici viaggi. Preghiamo anche per coloro che possono aiutare ma preferiscono guardare da un’altra parte”.
Questa è la ragione più profonda della nostra invocazione. Sentiamo infatti la responsabilità personale e collettiva di non volgere gli occhi altrove e di reagire operosamente e decisamente perché non si può lasciare il deserto in mare di soccorritori: che si torni a soccorrere e salvare; salvando la vita degli altri preserveremo anche la nostra umanità dall’imbarbarimento. Nell’indifferenza ripetiamo sommessamente: salva te stesso! Al cinismo dei trafficanti non possiamo opporre il cinismo della distanza e il mancato soccorso. Occorre potenziare vie legali di immigrazione, rafforzare i  corridoi umanitari. Non accettare che porti, ormai universalmente riconosciuti insicuri, e luoghi di detenzione e tortura siano un destino ineluttabile. Possiamo tutti fare di più, istituzioni e noi tutti! Soprattutto non dormire accanto a un mondo in agonia.
Il risorto vuole contagiare il mondo intero nella speranza. E la affida ai suoi discepoli. Possiamo così confermare con le nostre scelte, con la nostra sinergia nell’amore, le parole del salmo: “Vedano i poveri e si rallegrino; voi che cercate Dio, fatevi coraggio, perché il Signore ascolta i miseri e non disprezza i suoi che sono prigionieri” (vv.33-34). Diceva don Pino Puglisi: “Se ognuno fa qualcosa, si può fare molto”.
La speranza divenga impegno quotidiano ,superamento dell’irrilevanza e la Chiesa sia efficace espressione della misericordia di Dio. L’ospitalità doni parole nuove alla cultura, generi energie di bene. Il grido dei migranti non ci trovi timidi o tiepidi, perché dalla croce si possa intravedere la resurrezione. Amen

Il video e il podcast audio della preghiera