Sono passati 75 anni dal Porrajmos (il “grande divoramento”), lo sterminio del popolo rom, e dal 2 agosto 1944, quando in un solo giorno furono uccisi rom e sinti dello Zigeunerlager di Auschwitz-Birkenau. Dieci anni separano dall’assassinio nella città di Kisléta di Mária Balog, donna rom di 45 anni. Solo tra il 2008 e il 2009 in Ungheria sei persone rom hanno perso la vita per odio razziale e altre sono rimaste ferite.
La Comunità di Sant’Egidio a Budapest ha tenuto una veglia di preghiera ecumenica nella chiesa di Santa Teresa d’Avila in memoria del porrajmos e delle violenze sofferte dal popolo rom. Presenti molti familiari delle vittime, confortati dalla vicinanza e dalla fedeltà del ricordo della Comunità lungo questi dieci anni.
La preghiera è stata presieduta da monsignor Gábor Mohos, vescovo ausiliare di Esztergom-Budapest. Vi hanno partecipato il vescovo luterano Péter Gáncs, il reverendo Aaron Stevens della Chiesa presbiteriana scozzese, il capo rabbino Zoltán Radnóti, sacerdoti e numerosi fedeli tra cui molti bambini e giovani rom. Era presente Miklós Vecsei, commissario delegato dal primo ministro per l’integrazione sociale. È stato letto il messaggio che Lívia Járóka, vice-presidente del Parlamento europeo (la prima persona Rom in questa carica) mandato ai partecipanti della preghiera.
Péter Szőke, responsabile di Sant’Egidio a Budapest nel suo saluto ha detto: «Quando un popolo o un gruppo comincia a nutrire pregiudizi contro un altro, o a considerare la propria identità superiore, questo può portare ad una situazione di cui l’autore ungherese Sándor Márai scriveva nel 1938: “Non c’era ancora la guerra ma già non c’era più la pace". Ma Dio è il Dio della pace. Egli non si accontenta che non ci sia la guerra. Per avere la pace non basta non odiare ma bisogna amare. Dobbiamo costruire la pace nel nostro cuore ogni giorno per averne più nel nostro mondo».
Anna Beöthe, giovane di Sant’Egidio, ha reso testimonianza della sua esperienza durante il recente incontro Global Friendship a Cracovia ed Auschwitz dove mille giovani europei hanno dato voce alla loro preoccupazione per i nuovi segni di antisemitismo e razzismo nei paesi europei: «Noi vogliamo vivere in un mondo dove non ci sono muri ma popoli che si aiutano a vicenda, dividendo i beni della terra, aiutando e accogliendo chi soffre o chi fugge davanti a povertà, violenza e persecuzioni. Non vogliamo essere indifferenti, possiamo agire». Anna ha raccontato la Scuola della pace che realizza con i suoi amici e che rappresenta un luogo di inclusione e amicizia per molti bambini rom. Ha citato Etty Hillesum, morta giovane nel lager di Auschwitz: «Se si prega per qualcuno gli si manda un po’ della propria forza». «Siamo venuti per questo» ha aggiunto.
Nella sua meditazione sulla parabola del buon samaritano, monsignor Gábor Mohos ha sottolineato che essere figli di Dio Padre e Creatore renda anche tutti fratelli. Lasciando invece spazio all’egoismo, si apre la strada verso i pregiudizi e la violenza. Il cuore del sacerdote e del levita rimane chiuso davanti all’uomo mezzo morto: è il samaritano, uno straniero ad aver compassione di lui e si rivela il vero prossimo per lui. La risposta di Gesù a questo mondo pieno di violenza è che esiste una via d’uscita: un cuore aperto, la carità che distrugge le barriere dell’indifferenza. Gesù invita dicendo: «Va' e anche tu fa' lo stesso».
Nel cuore della preghiera è stata data lettura dei nomi e delle storie delle vittime e dei feriti della serie di violenze di dieci anni fa, con una litania accompagnata dal canto e dall’accensione di candele.