Un modello che funziona: quello delle convivenze protette

Sono sette le case che Sant'Egidio gestisce in collaborazione con Asl Roma 4 e Comune

 

 

Da "La Provincia Civitavecchia"

Le convivenze protette create dalla Comunità di Sant'Egidio in collaborazione con la Asl Roma 4 e il comune di Civitavecchia sono un modello inclusivo e che funziona. Se ne è parlato nei mesi scorsi nel corso di un evento presso al Regione Lazio dal nome "La Città che cura" organizzato proprio da Sant'Egidio insieme all'azienda sanitaria locale per cercare di capire come migliorare i servizi della salute mentale e la residenzialità delle persone con disturbi mentali.

Come aiutare chi rimane solo, chi ha bisogno di assistenza psicologica garantendo una rete a supporto e, al tempo stesso riducendo le ospedalizzazioni? La risposta arriva dal modello della convivenza protetta messo in campo dalla Comunità di Sant'Egidio.

«Sono sette le case per le convivenze protette della Comunità - ha spiegato Massimo Magnano di Sant'Egidio- e per noi è un modo per far avere agli ospiti i loro diritti. Nelle convivenze si vive in gruppi medi di quattro persone con disagio mentale o problemi. Nella vita insieme - ha sottolineato - migliorano, con l'aiuto di alcuni volontari che li aiutano senza però sostituirsi a loro». Un progetto che permette a persone che altrimenti sarebbero sole di vivere una vita normale e, proprio tramite la convivenza e la quotidianità, migliorare e ridurre crisi od ospedalizzazioni.

«Ognuno ha i suoi compiti e gli ospiti si supportano a vicenda, proprio come coinquilini». Tra i benefici maggiori c'è un processo di reinserimento nella società che ha portato molti ospiti a partire da vite al margine fino ad avere un lavoro o a collaborare con gli altri volontari.

«Questo è uno degli obiettivi, ovvero trasformare queste persone in risorse per la società». Si tratta di un progetto quasi unico. «Grazie al protocollo ci siamo divisi le competenze. La Asl si occupa delle dipendenze, del campo medico e prende in carico la salute, soprattutto quella mentale. Siamo in forte collegamento anche con i Servizi sociali. Ci comportiamo come una famiglia, il nostro compito è aiutarli e supportarli. Ad esempio gli ricordiamo se hanno delle visite mediche, tra i nostri compiti c'è anche quello di supportare gli ospiti in modo che possano avere una buona aderenza alle cure». 

Gli ospiti in prevalenza sono senza fissa dimora o provengono da istituti, carceri o da condizioni di estrema solitudine. «È un modello che funziona e lo testimoniano le storie degli ospiti delle convivenze protette».