Gli appelli della Chiesa contro «l'inutile strage». La riflessione di Andrea Riccardi sul Corriere della Sera
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Gli appelli della Chiesa contro «l'inutile strage». La riflessione di Andrea Riccardi sul Corriere della Sera

La lettera del 1917 di Benedetto XV ai potenti della terra, l'intervento di Paolo VI all’Onu e il sogno di Papa Francesco: aboliamo la guerra

Più di cent’anni fa, il 1° agosto 1917, Benedetto XV inviava una lettera ai Capi di Stato belligeranti, chiedendo a governi e popoli in guerra di «tornare fratelli». È un documento ancora attuale e di riferimento. C’è in esso un’espressione, non invecchiata nonostante il tempo passato: «questa lotta tremenda, la quale apparisce ogni giorno di più inutile strage». La locuzione, «inutile strage», è transitata nel lessico corrente, come definizione tra le più appropriate della guerra. Il papa volle che fosse mantenuta, mentre la Segreteria di Stato del diplomatico card. Gasparri, ne voleva la soppressione. La locuzione divenne subito popolare, alternativa alle propagande belliche, tanto che il papa fu accusato di disfattismo, incolpato — così dal generale Cadorna — della sconfitta di Caporetto. Gelida l’accoglienza dei cattolici francesi. Si passò all’insulto: Benedetto fu chiamato «crucco» (tedesco) o «Maledetto XV».

Oggi, guardando al dramma di Gaza, bombardata e affamata, vediamo ancora un’«inutile strage». Non c’è ragione, se non quella della forza. E non è «inutile strage» il tributo di vite pagato ogni giorno dagli ucraini da tre anni e mezzo?

Quel 1917 fonda il «ministero» di pace dei papi, un filo rosso negli ultimi due secoli, delegittimando la guerra («non c’è guerra giusta», diceva Francesco) non solo religiosamente, ma per i mali provocati. Ancora Bergoglio: «Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come lo ha trovato». L’autorità della Chiesa viene dalla memoria: parla di pace, perché ricorda le tante tragedie della guerra. All’ONU Paolo VI si presentò così: «Noi quali esperti di umanità». Poi lanciò la sfida: «Jamais plus la guerre!». L’autorità della Chiesa viene pure dal farsi voce della povera gente travolta dalla guerra: «voce dei morti e dei vivi», dice Paolo VI.

La Chiesa cattolica, un’internazionale di popoli, vive ogni conflitto, specie la guerra mondiale, come una lacerazione interna. Il papa si vuole «imparziale» tra i combattenti, impegnato per la pace e l’aiuto umanitario (così dal 1914). L’ideale è vivere insieme — scrive Benedetto — «con spirito conciliante, tenendo conto… delle aspirazioni dei popoli, e coordinando, ove occorra, i propri interessi a quelli comuni del grande consorzio umano». In questa visione s’inserisce oggi l’insistenza vaticana sui due Stati, israeliano e palestinese. Nel testo due punti sono decisivi per finire la guerra: l’arbitrato e il disarmo. Sul riarmo, il papato è stato sempre critico con un pensiero non lontano da un militare, il presidente Eisenhower: «Dobbiamo guardarci dalla conquista di un’influenza senza limiti… del complesso militare-industriale».
L’arbitrato si sviluppa, nel tempo, nella fiducia nel dialogo e nelle istituzioni internazionali alla luce del necessario rispetto del diritto.
 
La lettera del 1917 non si ferma ai principi, avanza problemi da risolvere: la liberazione del Belgio dai tedeschi, la restituzione delle colonie alla Germania, il contenzioso tra Roma e Vienna, l’Armenia (il papa aveva difeso gli armeni, vittime del genocidio ottomano), la rinascita della Polonia e altro. Si evoca il diritto, ma non si esclude il compromesso «di fronte ai vantaggi immensi di una pace duratura con disarmo». Il valore degli interventi papali è presentare sempre, pure quando l’opinione generale è rigidamente divisa, l’alternativa della pace attraverso il negoziato.
 
Posizioni simili oggi poco ispirano gli attori internazionali. Siamo nell’età della forza, fuori dalla legalità internazionale, con il discredito della diplomazia e delle sedi internazionali. La politica della Santa Sede è invece per passare dall’età della forza a un’«età negoziale»: un «un moto negoziale della storia, che esige, a tutti i livelli, l’abbattimento dei muri e la sostituzione dei muri con i ponti», diceva La Pira.
 
Così si è espresso Leone XIV: «incontriamoci, dialoghiamo, negoziamo! La guerra non è mai inevitabile, le armi possono e devono tacere, perché non risolvono i problemi ma li aumentano». La storia conferma per la Chiesa (e non solo) che la guerra è un’inutile strage. Bisogna voltare pagina e inaugurare «un’età negoziale». La proposta nasce da un sogno, espresso da Francesco: «Di fronte al pericolo di autodistruggersi, l’umanità comprenda che è giunto il momento di abolire la guerra, di cancellarla dalla storia dell’uomo prima che sia lei a cancellare l’uomo dalla storia».

 

[ Andrea Riccardi ]