Incontrando i responsabili dei movimenti, delle associazioni e delle nuove comunità, papa Leone sottolineava come «la vita cristiana non si vive nell’isolamento, confinata nella nostra mente e nel nostro cuore», per twittare più tardi: «Nessuno è cristiano da solo!». Questo per i credenti. Ma l’essere insieme è una necessità per ogni uomo e ogni donna. Non è – in questo “secolo della solitudine”, come scrive Noreena Hertz – l’esistenza di tutti minacciata dall’isolamento, dal confinamento nella propria mente e nel proprio cuore?
Eppure, è evidente a ciascuno la crescente povertà relazionale, la diffusa difficoltà a costruire legami interpersonali, il continuo ripiegare sulla connessione virtuale, su quel simulacro di rapporto con l’esterno costituito dallo smartphone, su uno schermo che dovrebbe aprirci al mondo e diviene invece solo lo specchio di noi stessi. Che ne sarà di un tempo sempre più atomizzato che porta ad una progressiva disabitudine all’incontro umano?
Purtroppo, cominciamo a vederlo nei nostri giovani, sempre meno capaci di una ricca vita sociale, sempre più autocentrati o distratti, mentre sono in aumento crisi d’ansia e disturbi psichici. Il grido d’allarme sale dalle famiglie, dal mondo della scuola, da quello della salute. Il deterioramento del tessuto e del discorso comunitari, il declino dell’associazionismo e di ogni rete, la contrazione dei contatti, il «crollo del noi» come ha scritto Vincenzo Paglia, sono fenomeni con genesi e dinamiche di lungo periodo, ma vivono una potente accelerazione grazie al dilagare dei nuovi dispositivi tecnologici e alla pervasività delle nuove modalità di connessione, trasformando il mondo interiore di ognuno, ma in particolare quello delle nuove generazioni.
L’universo adolescenziale e giovanile è attraversato da un’epidemia di solitudine e da un malessere psicologico di massa. Si intravede l’avvento di una nuova società, estremamente individualizzata, psicologizzata, incapace nel tempo di dare garanzie solide in termini di supplenza al welfare, di coesione intergenerazionale, di tenuta valoriale. Regna una virtualità online, che cambia di continuo usi e costumi, mentre declinano le vecchie forme di socializzazione dal vivo, tanto più che allo stesso tempo si assiste a una rarefazione dei piccoli eventi culturali ed aggregativi, quelli che più forgiavano la crescita delle persone. Il rischio è l’affermazione di una mentalità monadica in cui i concetti di futuro e di comunità di destino smettono di essere rilevanti. Una prospettiva preoccupante, non foss’altro perché toccherà proprio a questa generazione gestire i grandi mutamenti globali che si profilano (geopolitici, demografici, economici, ambientali, socioculturali, tecnologici) e trovare nuove soluzioni per l’avvenire.
D’altra parte, però, non bisogna vedere tutto nero.... Nel deserto delle solitudini sopravvive una «voglia di comunità», come scriveva Bauman. Tra le “passioni tristi” di cui parla Benasayag si fanno strada un interesse e un impegno genuini per la pace, per l’ambiente, per i popoli lontani. Nell’impero del virtuale si liberano spazi sorprendenti, come gli “offline club”, al cui interno i dispositivi digitali sono vietati e si riscoprono letture e conversazioni dal vivo. Per la prima volta si osservano segnali in controtendenza: come rivela un’inchiesta di The Guardian un po’ meno del 50% degli adolescenti inglesi sarebbe favorevole all’introduzione di un “coprifuoco digitale” dopo le 22 o dichiara che preferirebbe vivere in un mondo in cui Internet non esistesse. In Italia si discute sul divieto di utilizzo del cellulare anche nelle scuole secondarie di secondo grado. Potrebbe essere un passo nella giusta direzione, ma non dimentichiamoci che, per essere credibili, anche noi adulti dovremo disintossicarci: dovranno essere la famiglia, la scuola e la società a dare l’esempio.
Immaginarci che i ragazzi recuperino il fascino del reale e del “noi” vedendo intorno a loro ipocrisia e doppiopesismo, narcisismi e depressioni, è un insulto all’intelligenza di una giovane generazione che, come tutte quelle che l’hanno preceduta, vuole verità e serietà, vive di generosità e d’amor proprio, sente la necessità di “vibrare” – avrebbe detto don Milani – per qualcosa di più alto. Ricostruiamo, ognuno, il “noi” che abbiamo fatto crollare: ne guadagneremo tutti, in salute, normalità, e – chissà – riusciremo anche a salvare il mondo dai suoi guai.
[ Marco Impagliazzo ]