Conversazione con Andrea Riccardi: 'Solo Roma ci salverà'

Conversazione con Andrea Riccardi: 'Solo Roma ci salverà'

Il rebus di papa Leone
A cura di Lucio Caracciolo e Agnese Rossi

LIMES Qual è lo stato della Chiesa oggi?
RICCARDI È innanzitutto quello di una religione molto particolare rispetto alle altre grandi religioni. Un miliardo e 400 milioni di fedeli, un'internazionale in tutti i paesi del mondo, una religione di massa, di devozione popolare, ma anche di piccole comunità. Rispetto alle altre religioni ha anche la particolarità di essere molto organizzata. Non alludo solo al papato, alla rete diplomatica, al fatto di avere un soggetto internazionale come lo Stato vaticano. Mi riferisco anche alle diocesi, microcosmi organizzati in cui la cura pastorale dei fedeli si unisce a un'idea di governo. Diocesi, poi, raccolte in conferenze episcopali nazionali e continentali.
La Chiesa è un soggetto capace di mappare il mondo intero: l'Atlas hierarchicus cartografa pure la diocesi che ha sede a Laghouat, nel Sahara. Il cattolicesimo è una religione estremamente complessa, che accanto alla spontaneità della risposta dei fedeli teorizza l'idea di una cura pastorale strutturata e sistematica. Ogni fedele, in ragione del territorio dove abita, fa capo (teoricamente) a un'istituzione di cura pastorale, la parrocchia. Poi ci sono le congregazioni religiose e i movimenti, in larga parte di respiro internazionale. Un mondo in cui Bergoglio nel 2013, con l'Evangelii gaudium, voleva operare una conversione - se non una vera e propria rivoluzione - pastorale.
Quello è il documento da cui partire per capire quanto è successo dopo la crisi ratzingeriana, quando la decadenza della Chiesa era una sorta di malattia europea. La tesi di Wojtyla e di Ratzinger era che il cattolicesimo sarebbe finito senza l'Europa. Invece la risposta alla crisi è consistita in un papa venuto dalla "fine del mondo", tutt'altro che sprovveduto, attrezzato come i gesuiti. A differenza di Paolo VI, che auspicava un processo di riforma graduale, Francesco immaginava una rivoluzione pastorale che trasformasse la Chiesa in un movimento di popolo, con il Vangelo e i poveri al centro. Sostenne la sua grande utopia missionaria, evidente anche nel rapporto con l'Asia.
Nel complesso il pontificato di Bergoglio è segnato da questa rivoluzione mancata, anche in ragione delle opposizioni, resistenze e inerzie incontrate. Pensiamo ai sinodi sulla famiglia, anche volti a modificare nella disciplina della Chiesa la condizione di divorziati e risposati. Iniziative che gli attirarono non poche critiche interne e che rischiarono di metterlo in minoranza. Invece di demordere, a quel punto Francesco scelse di accentrare l'iniziativa e il potere su di sé. In altre parole, optò naturalmente per una «personalizzazione» del papato.
Qui a Sant'Egidio ospitammo la presentazione di un libro del cardinal Casaroli, che spiegò come la funzione del segretario di Stato consistesse nel «couvrir la couronne»: insomma, talvolta schermare il papa. Con Francesco, viceversa, sono saltate molte mediazioni. L'iniziativa era nelle sue mani. Questo ha fatto sì che su di lui si riversassero opposizioni e critiche. Nella mia vita non ho mai visto un preconclave in cui si è parlato così male di un papa defunto (da parte di alcuni), persino con accuse di scarsa fedeltà alla dottrina. Nel cattolicesimo la misura della fedeltà alla dottrina è il papa. Nonostante queste difficoltà di governo che riguardano gli ambienti ecclesiastici, alla fine della sua vita abbiamo assistito però a un fenomeno su cui riflettere: la grande emozione dei funerali, della elezione del successore, di Roma scesa per strada. Bergoglio aveva toccato la gente e radunato un popolo. E non solo nei primi anni.
LIMES Quindi Francesco generava frizioni dentro la Chiesa ma riscuoteva una certa popolarità tra i fedeli? Ed era più popolare fuori che dentro la comunità cattolica?
RICCARDI Bergoglio ha intuito che il confine tra le due dimensioni, dentro e fuori, è sottile. E ha avuto il genio di far cadere tante preclusioni verso la Chiesa. In effetti chi sono i suoi nemici oggi? I comunisti non ci sono più, e anzi tante volte il papa veniva trattato come il leader della sinistra. L'anticlericalismo laico è contenuto, quello di matrice operaia che ha dato battaglia alla Chiesa fra Ottocento e Novecento è praticamente scomparso. Un modo differente di parlare dell'etica familiare e sessuale (che poi è rimasta la stessa) ha fatto cadere varie preclusioni. La Chiesa ora ha davanti a sé una prateria. La popolarità iniziale riscossa da Francesco è riemersa alla fine del pontificato, ma in forma diversa. Se allora era gioia per il rinnovamento, oggi è più simile a una nostalgia del padre, di un padre non nazionalista, padre di tutti. In nome della fede, certo, ma anche perché c'è un grande vuoto. Tale ondata di popolarità si è propagata su scala globale, anche nei mondi delle religioni non cristiane come l'islam. Papa Francesco ha avuto un ruolo straordinario nel rapporto con il mondo islamico, cui ha restituito dignità di interlocutore, intuendo che, dietro la facciata propagandistica del terrorismo e dello Stato Islamico, si nascondeva un universo maggioritario di musulmani per bene, umiliato dal radicalismo. Ma questo mondo era in rottura con Benedetto XVI. Di qui il rapporto con il grande imam di al-Azhar o con gli sciiti iracheni, cioè con l'altra metà del mondo sciita: un mondo apolitico, laico, spirituale. Questi elementi s'intrecciano in modo ancora poco chiaro: è presto per dire se ci troviamo in presenza di quanto Romano Guardini definiva come una «rinascita della Chiesa nelle anime».
Ci sono dei segnali molto interessanti in questa direzione, ma non so se siano frutto del lascito di Francesco. Per esempio il recente boom di circa 18 mila battesimi di adolescenti e adulti per Pasqua in Francia. Oppure pensiamo all'inaugurazione di Notre Dame: un evento di enorme importanza in cui la potenza simbolica dell'armamentario liturgico cattolico ha attirato l'attenzione dei grandi del mondo pur in un paese laico. È evidente che nel cattolicesimo francese qualcosa si stia muovendo. Eppure si è scritto tanto sulla fine della Chiesa in Europa.
LIMES Si può leggerlo anche come reazione islamofoba?
RICCARDI Si tratta di una reazione identitaria. Da un lato preoccupata dell'islam, ma molta parte delle nuove adesioni al cattolicesimo viene da non battezzati che si convertono in età adulta. Sono persone che a un certo punto sentono di dover definire la propria identità come reazione all'antropologia dell'io europeo destrutturato.
LIMES Già nel suo famoso discorso preconclave sul Mysterium Lunae Bergoglio era stato molto chiaro rispetto al suo progetto di mettere al centro Cristo e non la Chiesa, che ne è strumento. Perché molti cardinali scelsero Bergoglio anche se non condividevano questo programma?
RICCARDI Il messaggio non era così esplicito, ma velato. D'altra parte, oggi gli rimproverano di non aver parlato abbastanza di Cristo. Il senso del Mysterium Lunae era che la Chiesa non doveva brillare di luce propria ma riflettere la luce di Cristo. Questo era il cuore della rivoluzione di Francesco: evangelizzare la Chiesa, spingerla al fuori di sé, renderla più profonda e comunicativa nel parlare di Cristo e nello stringere legami di amicizia con tutti: «todos» - ripeteva il papa nella sua visione inclusiva.
LIMES E meno organizzata.
RICCARDI Questo resta un interrogativo. Intendeva disorganizzarla attivamente? Oppure la Chiesa si stava già «disorganizzando» da sola come riflesso di un mondo in frammenti e Francesco non ha saputo governare questa deriva? Bergoglio in realtà ha dedicato tantissimo tempo al governo. Ha intrapreso una riforma della Curia, per quanto possa essere giudicata incompleta. Ha scelto direttamente i vescovi italiani e argentini, senza passare attraverso la Congregazione. Con l'andare del tempo, ha assunto su di sé sempre più responsabilità e potere. Perché ha percepito le resistenze. Francesco aveva una memoria formidabile e una grande capacità di decisione, unite a un carattere impulsivo. È andato verso un accentramento che in parte aggirava la segreteria di Stato, la quale nella visione montiniana aveva invece la funzione di cuore della Curia. Il suo governo in fondo non ha smantellato un granché. Ha posto in primo piano la questione amministrativo-finanziaria, togliendo autonomia ai vari dicasteri e alla segreteria. Francesco si è dedicato molto al Vaticano, in controtendenza rispetto agli ultimi papi, che in parte avevano preso le distanze da un residuo quasi simbolico di sovranità. Giovanni Paolo II, per esempio, mi disse che se si fosse concentrato sul Vaticano non avrebbe potuto fare tutto ciò che aveva fatto durante il suo pontificato. Per questo delegava certi temi al segretario di Stato.
LIMES La somma algebrica di tutto questo che cosa ha prodotto?
RICCARDI È presto per dirlo. A un tratto sembrava aver prodotto una crisi, una deflagrazione. Però c'è una rinnovata centralità del papato. Chi dice che dopo il Concilio il papato è stato smantellato sbaglia. Perché oggi il papato è importante nella Chiesa, ma sempre più anche al di fuori di essa.
LIMES Adesso il papa - qualsiasi papa occupi la carica - è una figura universale. Alla fine, è una specie di Dalai Lama.
RICCARDI Il Dalai Lama per come lo conosciamo oggi è una costruzione modellata sulla figura del papa. Ben diverso era prima dell'attuale Dalai Lama. Si potrebbe fare altrimenti l'esempio dell'Onu, come destino negativo della Chiesa, frammentata in tanti rappresentanti nazionali.
LIMES Questa funzione centrale del papato non finisce per oscurare la Chiesa?
RICCARDI Martini pensava che fosse così rispetto al pontificato di Wojtyla. Credeva che avesse oscurato la Chiesa locale. Io mi chiedo invece: attrae più un sinodo o un uomo che ti dice «non abbiate paura»? È questa la grande domanda, che ha a che vedere con il potere di convocazione della Chiesa romana. Sono un uomo del Novecento, figlio del secolo delle «tensioni unitive», come le chiamava Giorgio La Pira: la forza di un popolo che fece cadere il Muro durante la guerra fredda. Insieme allo slancio dell'ecumenismo, al dialogo interreligioso, alla caduta del comunismo, alla cooperazione con il Sud del mondo. Provenendo da questa tradizione, per me è stata una gioia vedere la Chiesa cattolica spogliarsi del suo splendido isolamento per concepirsi in rapporto con il resto del mondo cristiano. Diceva Paolo VI a proposito dell'identità della Chiesa: «Quando la Chiesa si distingue dall'umanità non si oppone ad essa, anzi si congiunge». Eppure, oggi vedo una grande differenziazione tra Chiesa cattolica e altre Chiese cristiane, non tanto di natura dottrinale-teologica, ma nel diverso modo di porsi nella storia. È un problema in particolare con molti ortodossi.
Pensiamo al mondo ortodosso. Oggi la Chiesa cattolica rappresenta un universale, seppure con sue frizioni nazionaliste, che però ci sono sempre state e sempre tenute sotto controllo. Ma il punto è che il papa fa cardinale un vescovo ucraino in Australia, invece di scegliere il capo della Chiesa d'Ucraina. Per molti aspetti, le Chiese ortodosse in passato erano le più vicine alla Chiesa cattolica. Basti pensare che ai tempi dell'Unione Sovietica i fedeli cattolici in caso di necessità potevano fare la comunione nelle chiese russe. Oggi i russi non dicono nemmeno il Padre nostro con i cattolici. L'identificazione delle Chiese ortodosse con l'orizzonte nazionale, salvo il patriarcato di Costantinopoli, è enorme.
LIMES Però secondo molti ci sarebbe anche una deriva quasi scismatica perché alcune Chiese locali e conferenze episcopali si muovono con grande autonomia rispetto al Vaticano. La gerarchia è sfidata?
RICCARDI La gerarchia è sempre stata sfidata da fenomeni simili. C'è il caso degli Stati Uniti, dove anche la potenza mediatica e finanziaria si è inserita nelle divisioni del cattolicesimo e dell'episcopato americano. Ma alla fine le pulsioni scismatiche sono problemi minori, non credo siano la prima preoccupazione della Chiesa cattolica. A spaventarla sono piuttosto le chiese e i seminari vuoti, la perdita della fede. Tuttavia Leone XIV ha parlato, fin dall'inizio, di unità, non solo del mondo nella pace, ma di unità della Chiesa: la comunione ecclesiale deve unire e includere.
LIMES La Chiesa brucia ancora?
RICCARDI La Chiesa brucia ancora, nel senso che sta attraversando un lungo inverno. Questo è il vero problema, tutto il resto si gestisce. Si tratta di capire se è una delle tante crisi che il cristianesimo ha vissuto o qualcosa di più definitivo.
LIMES Veniamo all'oggi. L'elezione di Leone XIV viene spesso raccontata come la scelta di un agostiniano con una vocazione canonistica e gerarchica, di un capo in grado di mettere ordine dove il predecessore faceva disordine, favorendo una sintesi. È una visione semplicistica?
RICCARDI La mia interpretazione è che Francesco si fosse accorto della crisi. Al contempo, si era anche accorto di non avere più molte forze. In questo, benché si sentisse e fosse diverso da Wojtyla, è andato incontro a una morte simile. Quell'ultima cavalcata in piazza San Pietro e poi la benedizione dalla loggia con la stola antica: sapeva che la fine stava arrivando. E che non pochi spingevano per invertire la direzione che aveva inaugurato. Sapeva che c'era una campagna per una candidatura alternativa. È a questo punto che Bergoglio ha cominciato a guardare a Prevost, a portarlo con sé nei suoi viaggi.
LIMES Bergoglio avrebbe voluto che il conclave eleggesse Prevost? 
RICCARDI Mai un papa «nomina» il successore. Molti tentativi in questo senso sono falliti nella storia. Tuttavia c'è stata una convergenza tra i cardinali e forse - non ne siamo certi - il sogno del papa. A Bergoglio piaceva Prevost perché aveva ciò che a lui mancava: un carattere sereno, costruttivo, non impulsivo. E poi perché proveniva da una storia vicina a Francesco. Prevost ha detto - non è un segreto - che, da superiore degli agostiniani, a Buenos Aires aveva avuto una discussione con Bergoglio. Non credeva che Francesco lo avrebbe fatto vescovo. Poi lo ha mandato in quella diocesi difficile di Chiclayo, grande un milione di abitanti, e in limine lo ha richiamato per dirigere un organo importante del Vaticano, il dicastero per i Vescovi. Poi l'ha chiamato come cardinale dell'ordine dei diaconi. Infine ha iniziato a portarlo con sé nei suoi viaggi. Piccole cose, ma segnali. Non che Francesco abbia mai detto esplicitamente di caldeggiare Prevost. Prima del conclave, Parolin sembrava in testa, perché autorevole e ben conosciuto; ma tra le frange vicine a Bergoglio è maturata la candidatura di Prevost.
LIMES Quindi Prevost era in testa fin dall'inizio?
RICCARDI Dicono di sì. Questo ha stupito tutti. D'altra parte, sono cambiate molte cose rispetto al passato. Pensiamo al ruolo dei vescovi africani. La dichiarazione Fiducia supplicans, con cui Francesco ha aperto alla benedizione delle coppie irregolari, ha causato una rivolta tra i vescovi africani, per giunta in una fase non lontana dal conclave. Tutti sapevano di queste tensioni. Il favore del blocco africano, piuttosto consistente, probabilmente è andato al gruppo conservatore. Un bel cambiamento rispetto ai tempi delle «tensioni unitive», quando i vescovi africani erano quelli delle piccole comunità di base.
LIMES C'era un'alternativa seria a Prevost?
RICCARDI Oltre a Prevost, c'era Parolin ad avere i numeri. Ma al di là dei numeri, un'alternativa era Aveline. La sua candidatura ha rilanciato l'idea del papato europeo. Aveline è arcivescovo metropolita di Marsiglia, città pienamente mediterranea. Sarebbe stata una sorta di rivincita del Vecchio Continente, aperto al Sud e ai problemi dell'islam. Ma gli europei non hanno mostrato unità, disperdendo i loro voti. Come hanno fatto gli italiani. Tuttavia, questa vicenda ha evidenziato come oggi il discrimine non corra tanto tra papa italiano e papa non italiano, ma tra europeo e non europeo. I papi «stranieri» che abbiamo avuto finora in fondo erano tutti asburgici. Non solo Montini (Brescia) e Roncalli (Bergamo), ma anche Ratzinger e Wojtyla: Monaco in fondo è un'appendice dell'Austria, Cracovia era una provincia asburgica. Erano stranieri, ma non così stranieri come Bergoglio o Prevost.
LIMES La frontiera cinese che Bergoglio ha tentato di aprire non pare aver prodotto enormi risultati. Prevost non sembra avere una vocazione particolare per la Cina ed è pur sempre un americano. Bergoglio era americano da un punto di vista geografico, ma era soprattutto un papa del «Sud Globale». Di Prevost probabilmente non si può dire lo stesso.
RICCARDI Bergoglio era anche anti-yankee. Mentre Prevost è piuttosto figlio di una visione geopolitica wojtyliana in cui America Latina e America del Nord devono andare insieme: nel 1997 aveva fatto un sinodo per l'America.
LIMES Come fanno ad andare insieme nella situazione attuale?
RICCARDI Infatti è una posizione in controtendenza, basta guardare alle sue dichiarazioni su J.D. Vance. Però Prevost è un americano statunitense. In un certo senso è diventato il secondo leader degli Stati Uniti. Con una posizione esplicitata dalla dottrina sociale della Chiesa, che certo ha come riferimento storico l'enciclica Rerum novarum, ma soprattutto esprime la volontà di un cristianesimo incarnato nella storia di oggi. Si potrebbe dire: non siamo woke, ma non siamo nemmeno dei sovranisti o dei nazionalisti. In altre parole, è l'idea della terza via cattolica.
LIMES E poi c'è il problema di questo cattolicesimo americano che è molto differenziato, con una forte corrente di derivazione evangelicale.
RICCARDI Una forte corrente di derivazione evangelicale e una forte corrente tradizionalista. Il tutto è aggravato dal fenomeno dei baby catholics, cioè dei cattolici di recente conversione come Vance. In qualunque congregazione, un nuovo arrivato tendenzialmente tace e lascia parlare i più navigati. Invece Vance arriva e pretende di esercitare il magistero, di spiegare la dottrina e l'ordo amoris.
Quanto all'apertura alla Cina di Bergoglio e Parolin, personalmente la difendo molto. Il cardinale è stato coraggioso e coerente con la politica della Santa Sede. Perché riflette una propensione tradizionale della Chiesa cattolica, che non può essere clandestina. La Cina è una grande frontiera del cattolicesimo, lo è sempre stata. E per molti versi è stato il grande paese/mondo mancato.
LIMES Pare che lo sia tuttora.
RICCARDI Al momento in Cina ci sono piccole comunità che resistono, anche se c'è un problema di rafforzamento del clero. La Cina è il paese più secolarizzato del mondo e oggi attraversa un momento delicato. Si vive una tensione con l'America di Trump, che rende i cinesi guardinghi su molti fronti. C'è una grande domanda religiosa. La questione è chi risponderà a questa domanda. I comunisti cinesi hanno paura dei protestanti, preferiscono trattare con la Chiesa cattolica.
A questo proposito mi piace ricordare la visita di Gian Carlo Pajetta a Mao Zedong. Pajetta, venendo dalla Roma di inizio anni Sessanta, dove tutti parlavano con tutti, chiese a Mao di far venire i cattolici cinesi al Concilio Vaticano II. E Mao non capiva perché gli premesse tanto, visto che era comunista. Evidentemente non conosceva il comunismo italiano. Ad ogni modo, Mao respinse la richiesta spiegando che la sovranità della Cina parte da terra e arriva nell'alto dei cieli. Da questo punto di vista, l'accordo sulla nomina dei vescovi con papa Francesco è un successo diplomatico, perché Pechino ha riconosciuto in certa misura il potere di giurisdizione papale. Credo tuttavia che sia presto per esprimere un giudizio sull'orientamento politico e geopolitico di Prevost. Ricordo che all'inizio Bergoglio era timidissimo sulle questioni politiche e si appoggiava molto alla segreteria di Stato. Dopo ha preso la mano a far politica per conto suo. Peraltro, non so quanto la Cina sia tra i primi interessi di Prevost, che almeno inizialmente ha piuttosto l'urgenza di ricucire gli strappi che si sono prodotti. E oggi c'è molto da ricucire. Pensiamo al Nicaragua o al Venezuela. Chi assicura che Maduro non finirà per seguire una via nicaraguense? Non dimenticherò mai le parole di un tassista a Città del Guatemala. Vedendomi intento a osservare le chiese, decise di richiamare la mia attenzione: «Sehor/ La Chiesa ha scelto i poveri, ma i poveri hanno scelto le sette!».
LIMES Che ne è stato e che ne sarà di Roma?
RICCARDI Roma è stato un grande problema per Bergoglio, a partire dal suo rapporto con i vicari. Ha anche riformato la suddivisione della diocesi di Roma decisa da Paolo VI, riducendo i settori da cinque a quattro e abolendo quello del centro storico. Ora la Chiesa di Roma può ridiventare strategica, anche perché il nuovo papa ha una formazione abbastanza romana: ha studiato all'Angelicum, poi è stato superiore generale nella casa generalizia di Roma, una grande scuola. Viceversa, non credo che un papa italiano sarebbe stato per forza un papa romano. Nella figura del pontefice coesistono due dimensioni: il papa è successore di Pietro - che era a Roma - e di Paolo che, come ricordava Giovanni Paolo II, era sempre in viaggio. Ormai c'è la dimensione del pontificato itinerante, che fa parte del ministero del papa.
Tra le questioni romane più urgenti c'è la Curia da ripensare. Un ripensamento ecclesiologico della Curia in rapporto alla Chiesa romana, perché questo eviterebbe un isolamento dell'istituzione, ma sarebbe anche importante per i preti che lavorano in Curia, perché abbiano un rapporto vivo con la diocesi. In ogni caso, credo che la risposta al rischio di sfaldamento del mondo cattolico debba provenire anche da Roma. Questo mondo, in corso di deglobalizzazione e di frammentazione, necessita di un punto - uno spazio - di unità nella diversità. Naturalmente il papa rappresenta questo. Ma non solo. La Curia e la Chiesa di Roma devono stargli più vicino.