Il presidente di Sant'Egidio: "Il Papa ribadisce l'insegnamento etico della Chiesa. Punta sul dialogo interreligioso: la globalizzazione lo ha reso indispensabile"
«Leone XIV esorta i governanti a investire sulla famiglia fondata sull'unione stabile tra uomo e donna come fondamento di una società armonica perché una delle tre parole-chiave indicate nel discorso al corpo diplomatico è verità. La famiglia è intesa anche come famiglia delle Nazioni. Prevost presenta al mondo le sue credenziali di Papa quindi ribadisce l'insegnamento etico della Chiesa sulla cellula fondamentale della società», afferma Marco Impagliazzo, ordinario di Storia contemporanea all'Università di Roma Tre. Presidente della Comunità di Sant'Egidio, membro del Dicastero vaticano per i Laici, la famiglia e la vita.
Quali messaggi lancia alla comunità internazionale?
«Non si è trattato di un discorso programmatico sulla politica della Santa Sede, bensì di una presa di contatto iniziale per presentarsi come pastore e non come diplomatico. E quindi il tema è stato quello di dire alle Nazioni: "Siamo un'unica famiglia". Un approccio che richiama l'enciclica Fratelli tutti di Francesco. Per la Santa Sede l'Onu resta, come ebbe a dire proprio papa Bergoglio, la risposta imprescindibile alle grandi crisi del mondo contemporaneo».
Su cosa punta Leone XIV?
«Mi ha molto colpito il riferimento al ruolo del dialogo interreligioso per pacificare il mondo. Coinvolgere le fedi per fermare le guerre è nel solco del Concilio Vaticano II e dell'incontro promosso da Karol Wojtyla ad Assisi nel 1986. Soffia nel discorso del Papa lo spirito di Assisi che da quarant'anni la Comunità di Sant'Egidio alimenta. Le religioni, quindi, come veicolo di pace privilegiato».
Con quali prospettive?
«Anche se c'è la guerra, è necessario pensare oggi la pace di domani. Leone ha mostrato grande sensibilità verso il dialogo tra le fedi inviando subito messaggi al rabbino capo di Roma e all'Anti-Defamation League. Il rapporto tra giustizia e pace è la eredità della lezione conciliare. Un approccio che ha antiche radici. "Giustizia e pace si baceranno", recita un salmo. La famiglia e la religione sono i terreni di incontro per partire da ciò che unisce piuttosto che da ciò che divide. Ci siamo anche abituati a lasciare crescere le conflittualità, le contrapposizioni, a non far tacere le piccole guerre del cuore o della mente. A differenza di certo pentacostalismo violento verso le altre confessioni, Leone torna alle fonti come Sant'Agostino superando l'aggressività ed esortando tutti ad essere operatori di pace. Secondo la tradizione patristica che il Papa esprime nel suo magistero, c'è qualcosa che va al di là di noi, del nostro presente e dell'attualità. Leone mette in guardia da una cultura semplificatrice che abitua ai conflitti e ripropone a ciascun cattolico le beatitudini evangeliche. "Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio"».
In che modo l'incontro con il vicepresidente statunitense J. D. Vance rientra nel quadro delineato dal Papa?
«Nella visione di Leone XIV ogni uomo è un ponte e apre ponti. Il Pontefice spera che a percorrerli sia anche il cattolico Vance. Non ci sono preclusioni e significativamente il Papa indica agli ambasciatori come interlocutrice la diplomazia pontificia. Un modo per rimettere al centro la Segreteria di Stato vaticana».
Quanto conta il riferimento all'immigrazione nell'architettura del pontificato?
«Significativamente Leone richiama la sua storia personale di figlio di migranti. Un'identificazione con chi oggi lascia la propria terra e ha diritto di veder rispettata la dignità umana. La globalizzazione pone con forza una sfida, quella del vivere insieme. Le migrazioni hanno profondamente cambiato la fisionomia delle città. In spazi stretti si concentrano diversità enormi, di cultura, di stile di vita, di religione. Leone si presenta come uomo di pace. Abbiamo sperperato il bene prezioso della pace e oggi rimaniamo giustamente atterriti e preoccupati per ciò che accade».
Leone mette in gioco se stesso e la Santa Sede per creare spazi di dialogo?
«Sì. L'antropologa francese, Germaine Tillion, diceva che una "politica di conversazione con l'altro" è necessaria. La strada della conversazione e del dialogo con l'altro porta, prima o poi, sicuramente alla pace. Nell'ultimo secolo i regimi totalitari hanno utilizzato l'educazione e la propaganda per creare, fra le giovani generazioni, uomini e donne nuovi, capaci di lottare per affermare la propria ideologia. Accade ancora oggi: in tanti conflitti i bambini e gli adolescenti sono "educati o addestrati alla guerra"».
Già Francesco ha richiamato l'emergenza educativa. Vale anche per la pace?
«Sì. Spesso i piccoli e i giovani, in tante parti del mondo, restano coinvolti nei conflitti, anche come attori, reclutati dalle guerriglie, usati dalle formazioni terroristiche. L'educazione alla pace, però, non è necessaria solo nei Paesi toccati dalla guerra, dove i giovani combattono, ma anche in quelle situazioni di conflitto latente o di violenza urbana così frequenti nelle nostre società».
Come nasce la spinta di Leone a superare le divisioni tra i credenti?
«La spinta ecumenica ha origine nel convincimento che, in forza del Vangelo, può esistere un ecumenismo di fatto che viene prima di quello dottrinale. A ciò si unisce la ricerca concreta e continua del dialogo, l'ethos, lo stile di vita, la semplicità, l'affetto nei confronti di ogni persona umana, soprattutto verso i sofferenti e i poveri, che conforma in maniera evidente il papato allo spirito evangelico».
[ Giacomo Galeazzi ]