Apostolico, romano: mai più italiano. Colloquio con Andrea Riccardi dopo l'elezione di Leone XIV.

Apostolico, romano: mai più italiano. Colloquio con Andrea Riccardi dopo l'elezione di Leone XIV.

Prima pagina. Un Leone contro Trump
Il papa straniero non è una parentesi. Neanche un pontefice nato qui oggi organizzerebbe i cattolici. Non c'è classe dirigente, ma un partito di centro serve. Parla il fondatore di Sant'Egidio

Leone XIV è il quarto papa non italiano, 47 anni dopo l'elezione di Karol Wojtyla. Andrea Riccardi, fondatore della comunità di Sant'Egidio, storico, ex ministro per l'Integrazione, possiamo dire che è finita un'epoca?
«Sembrava l'eccezione, ma ormai non è più una parentesi. L'elezione di Prevost ha certificato la fragilità dell'ipotesi di un papato italiano - che per la verità era molto giornalistica, perché c'è una differenza tra il conclave dei giornali e il conclave della realtà - ma anche europeo, perché Leone XIV ha radici in Europa ma non è un prodotto della chiesa europea, ed è un fatto che fa molto pensare. In fondo gli ultimi papi, fino a Bergoglio, venivano tutti da quella che poteva essere considerata un'area asburgica: il bavarese Ratzinger, il polacco di Cracovia Wojtyla, e prima il bresciano Montini, ma anche il bergamasco Roncalli. Non erano papi così stranieri. Oggi invece è un altro papato: è americano, è quasi il secondo sudamericano, ed è un papato internazionale e poliedrico, dalle molte facce».
Si è detto: colpa degli italiani che sono divisi.
«Dal 1978 la divisione degli italiani ha generato sempre papi non italiani, però forse c'è qualcosa di più. Quando scelsero il papa argentino, la Chiesa sembrava ammalata della decadenza europea. Non esprimeva leader all'altezza. Oggi forse c'è ancora questo. Ma sicuramente nel Conclave non c'è stato un pregiudizio anti-italiano, come invece ci fu contro Scola e contro Bertone. È, invece, l'idea che la Chiesa ormai è molto globale».
Roma è destinata a fare una quinta di teatro, dove nella basilica di san Pietro si incontrano Trump e Zelensky, a due passi dal papa morto?
«La chiesa cattolica non diventerà mai come l'Onu, un palazzo di vetro in cui hai un russo, un cambogiano, e accanto un finlandese. L'elemento italiano giocherà sempre un ruolo di mediazione, nel contesto dell'universalità della Chiesa. E credo che anche Roma tornerà a essere protagonista. In questo mondo globale, lo si è visto anche con i funerali di Francesco e l'elezione di Prevost, è emersa una sete di paternità diciamo universale, al di là dei nazionalismi e delle divisioni: il papa è un simbolo e una risposta. Il papa di Roma, come dicono i russi».
Lo spostamento dell'asse, l'irrilevanza italiana ed europea, è reversibile? Da noi le chiese sono vuote, in America latina no.
«Niente è irreversibile nella storia. Indubbiamente c'è uno spostamento del numero dei cattolici verso il Sud del mondo, ma questo non vuol dire tutto: non conta solo il numero, conta la storia, la stratificazione. Per esempio a me è dispiaciuto che diocesi come Milano, Parigi e Buenos Aires non avessero voce nel Conclave. Le Chiese europee esprimono non solo la fede, ma un umanesimo, un radicamento anche maggiore nella società laica».
Il quotidiano spagnolo "La Vanguardia" ha scritto che senza il Papa l`'talia è «incompleta». Si sente «orfana».
«Fino a un certo punto. Per l'Italia il papa straniero è un papa italiano, Wojtyla chiamava l`Italia "la mia seconda patria". Nel 1945 il generale de Gaulle andò da Pio XII e gli disse: "Bisogna mantenere la monarchia in Italia". Il papa restò freddo. E de Gaulle annotò, maliziosamente: "Restare l'unico sovrano in Italia non gli dispiace". Il papa è un po' un sovrano in Italia, le vicende del papa sono anche nazionali, persino se il papa è americano. Non è una figura esterna».
Francesco Cossiga disse di papa Montini: «È lui il vero capo della Dc». Oggi sarebbe impensabile.
«Chiaramente è diverso. Ma Montini era cofondatore della Dc, è stato l'unico papa democristiano, diceva il mio amico Emile Poulat. Giovanni XXIII era molto più lontano dalla politica, per esempio. E per converso non credo che Leone XIV sia di quelli che dicono: non capisco niente di politica italiana. Insomma: dipende. Ma è dal dopo Concilio che i papi, sostanzialmente, contano sempre meno, nella politica italiana. Del resto era quello che voleva De Gasperi, con l'aiuto di Montini: che la politica italiana fosse lasciata ai laici, nel suo caso laici cattolici».
Nella prospettiva della ricostruzione della presenza dei cattolici in politica, che tante volte è stata evocata in questi mesi dai Ruffini e dai Delrio, un papato americano sembra però sideralmente lontano.
«Sono convinto che senza un centro, la sinistra non vincerà mai le elezioni, almeno a breve. Ma la Chiesa non ricostruirà il centro. E neanche un papa italianissimo oggi si metterebbe a organizzare i cattolici in politica. Leone XIII ha parlato di dottrina sociale: forse questa, oggi, può essere una base per un ripensamento dei cattolici in politica».
Ecco però qui non si vedono leader: la rappresentanza cattolica, l'associazionismo, non hanno grandi figure di riferimento. Non dico nuovi Moro o Andreotti, ma almeno Bindi o Formigoni.
«Perché con la fine della Dc è finita una classe dirigente: l'Italia aveva due classi dirigenti cattoliche, una laica politica e una episcopale. Oggi è rimasta quella episcopale. E qualche laico, magari accusato di presenzialismo. Ma questo viene da lontano, dagli anni '90. Non c'è la classe dirigente, è un fenomeno diffuso in tutto il mondo cattolico. Anche perché i movimenti, per esempio, durante il pontificato di Francesco sono stati diciamo un po' messi sottotono».
Trent'anni dopo sta finendo anche l'effetto sciame del post Dc?
«Oggi non ci sono le associazioni che sostengono la politica. È presto detto, purtroppo: ed è inutile che ci giriamo intorno, è così. Non ci sono molti leader cattolici: non solo politici, ma leader in senso vario, sociali, di pensiero. Ma qualcosa c'è, non voglio essere pessimista. E penso che qualcosa si potrà fare».


[ Susanna Turco ]