Cooperazione
Sconfiggere l'Hiv in Africa è possibile, se continueremo a occuparcene: è il messaggio del convegno promosso dal programma Dream di Sant'Egidio e il ministero degli Esteri. Il programma Dream di Sant'Egidio in Africa oggi ha in cura più di 100mila persone contagiate dal virus
Sconfiggere l'Hiv in Africa è possibile, ma solo se non abbasseremo la guardia: è questo il messaggio lanciato dal convegno, promosso dal programma Dream della Comunità di Sant'Egidio - che opera in Africa per la prevenzione del virus e la cura dei malati - in collaborazione con la Famesina. L'evento che ieri a Roma, nell'aula dei gruppi parlamentari, ha ospitato i ministri della salute provenienti dai Paesi africani in cui opera il progetto, ha provato ad accendere i riflettori sull'importanza di continuare a sostenere il continente e il resto del mondo in questa battaglia, che purtroppo non è ancora vinta.
«Il tema della salute in Africa richiede l'impegno di tutti noi per affrontare l'emergenza delle malattie che colpiscono soprattutto i giovani, oltre a quella della mortalità infantile - ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla conferenza -. Queste situazioni sono alcune delle cause dell'immigrazione. Nonostante l'Africa sia un continente molto ricco di risorse, la popolazione vive troppo spesso in grande povertà». Oltre alla rinnovata collaborazione tra Italia e Africa, anche grazie al Piano Mattei, «serve un impegno costante e comune dell'Europa, che deve guardare al continente con lenti africane per favorirne una crescita inclusiva e sostenibile», ha ricordato il vice presidente del Consiglio, sottolineando che in questa strategia di cooperazione al centro c'è sempre la persona e la salute è un punto fondamentale.
«Stiamo lavorando anche con l'alleanza vaccinale Gavi, alla quale abbiamo contribuito con 150 milioni di euro per la produzione del vaccino in Africa», ha spiegato il ministro, ribadendo poi il sostegno al programma Dream, che ha già raggiunto, negli oltre 22 anni nei quali ha operato, importanti risultati nella lotta ad Aids e malnutrizione e nella formazione del personale sanitario in 10 Paesi africani, tra cui Guinea, Malawi e Mozambico.
Dell'importanza della collaborazione ha parlato anche l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e consigliere spirituale della Comunità di S. Egidio, ricordando che «l'interdipendenza sta alla base non solo della nostra salute, ma della vita stessa. Ogni vita è vita comune, nessuno si salva da solo, né come individuo né come collettività, né come Stato né come continente». Il Programma Dream, ha continuato monsignor Paglia, «è un sogno che unisce e contesta alla radice chi pretende di dire "prima io" o "prima l'Italia" o "prima l'Occidente": Dream mostra che ci si salva assieme».
Il progetto ha in cura più di 100mila persone con l'Hiv e più del 95% dei pazienti beneficia gratuitamente dell'esame di carica virale ogni anno: un test fondamentale per monitorare l'evoluzione del virus. I progressi del programma si inseriscono in un quadro generale che vede molti Paesi africani sempre più vicini agli obiettivi stabiliti dalle Nazioni unite su prevenzione, diagnosi, accesso al trattamento e controllo della carica virale.
Tuttavia, ci troviamo davanti a un bivio. Se da una parte è aumentata la qualità della vita di chi si ammala e si è ridotta la mortalità, dall'altra «non bisogna dimenticare problemi emergenti come la resistenza ai farmaci sviluppata da tanti pazienti - ha sottolineato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, a margine dell'evento -. Bisogna dunque introdurre per i pazienti africani le cure personalizzate e gli strumenti diagnostici, così come si fa già in Occidente, continuando a impegnare nuove risorse. Perché l'Aids non è stato ancora sconfitto». Nei casi in cui si sviluppa una resistenza ai farmaci è infatti fondamentale ricalibrare la terapia, cosa che in Africa si fa ancora fatica ad applicare. Un aspetto da non sottovalutare perché dal virus non si guarisce e se non viene tenuto sotto controllo può riprendersi quello spazio nel corpo del malato e nelle comunità. Nonostante i progressi, l'equilibrio è fragile e qualsiasi scossone può determinare una battuta d'arresto o un passo indietro.
Come ha spiegato infine Stefano Orlando, uno dei coordinatori di Dream, «i fondi iniziano a diminuire, non possiamo negare la preoccupazione che abbiamo tutti per le scelte future dell'amministrazione americana su questo tema, visto che gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale finanziatore della lotta globale all'Hiv. Se vogliamo eliminare l'Aids entro il 2030, non è il momento di ridurre le risorse».
«Il tema della salute in Africa richiede l'impegno di tutti noi per affrontare l'emergenza delle malattie che colpiscono soprattutto i giovani, oltre a quella della mortalità infantile - ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani alla conferenza -. Queste situazioni sono alcune delle cause dell'immigrazione. Nonostante l'Africa sia un continente molto ricco di risorse, la popolazione vive troppo spesso in grande povertà». Oltre alla rinnovata collaborazione tra Italia e Africa, anche grazie al Piano Mattei, «serve un impegno costante e comune dell'Europa, che deve guardare al continente con lenti africane per favorirne una crescita inclusiva e sostenibile», ha ricordato il vice presidente del Consiglio, sottolineando che in questa strategia di cooperazione al centro c'è sempre la persona e la salute è un punto fondamentale.
«Stiamo lavorando anche con l'alleanza vaccinale Gavi, alla quale abbiamo contribuito con 150 milioni di euro per la produzione del vaccino in Africa», ha spiegato il ministro, ribadendo poi il sostegno al programma Dream, che ha già raggiunto, negli oltre 22 anni nei quali ha operato, importanti risultati nella lotta ad Aids e malnutrizione e nella formazione del personale sanitario in 10 Paesi africani, tra cui Guinea, Malawi e Mozambico.
Dell'importanza della collaborazione ha parlato anche l'arcivescovo Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita e consigliere spirituale della Comunità di S. Egidio, ricordando che «l'interdipendenza sta alla base non solo della nostra salute, ma della vita stessa. Ogni vita è vita comune, nessuno si salva da solo, né come individuo né come collettività, né come Stato né come continente». Il Programma Dream, ha continuato monsignor Paglia, «è un sogno che unisce e contesta alla radice chi pretende di dire "prima io" o "prima l'Italia" o "prima l'Occidente": Dream mostra che ci si salva assieme».
Il progetto ha in cura più di 100mila persone con l'Hiv e più del 95% dei pazienti beneficia gratuitamente dell'esame di carica virale ogni anno: un test fondamentale per monitorare l'evoluzione del virus. I progressi del programma si inseriscono in un quadro generale che vede molti Paesi africani sempre più vicini agli obiettivi stabiliti dalle Nazioni unite su prevenzione, diagnosi, accesso al trattamento e controllo della carica virale.
Tuttavia, ci troviamo davanti a un bivio. Se da una parte è aumentata la qualità della vita di chi si ammala e si è ridotta la mortalità, dall'altra «non bisogna dimenticare problemi emergenti come la resistenza ai farmaci sviluppata da tanti pazienti - ha sottolineato Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, a margine dell'evento -. Bisogna dunque introdurre per i pazienti africani le cure personalizzate e gli strumenti diagnostici, così come si fa già in Occidente, continuando a impegnare nuove risorse. Perché l'Aids non è stato ancora sconfitto». Nei casi in cui si sviluppa una resistenza ai farmaci è infatti fondamentale ricalibrare la terapia, cosa che in Africa si fa ancora fatica ad applicare. Un aspetto da non sottovalutare perché dal virus non si guarisce e se non viene tenuto sotto controllo può riprendersi quello spazio nel corpo del malato e nelle comunità. Nonostante i progressi, l'equilibrio è fragile e qualsiasi scossone può determinare una battuta d'arresto o un passo indietro.
Come ha spiegato infine Stefano Orlando, uno dei coordinatori di Dream, «i fondi iniziano a diminuire, non possiamo negare la preoccupazione che abbiamo tutti per le scelte future dell'amministrazione americana su questo tema, visto che gli Stati Uniti sono di gran lunga il principale finanziatore della lotta globale all'Hiv. Se vogliamo eliminare l'Aids entro il 2030, non è il momento di ridurre le risorse».
[ Elisa Campisi ]