Almeno trecento persone in centro a Novara per il tradizionale appuntamento della Comunità di Sant'Egidio Le testimonianze di chi ha dovuto lasciare Siria e Ucraina. "Nel mondo c'è troppa rassegnazione alla guerra"
Lo striscione «Pace in tutte le terre» retto da jun gruppo di bambini, subito dietro le bandiere blu della Comunità di Sant'Egidio e anche una arcobaleno, poi i cartelli con i nomi di decine di Paesi. Perché oggi, come non si stanca mai di ricordare Papa Francesco, le guerre che ci raccontano i telegiornali insanguinano l'Ucraina e la Palestina ma infuriano anche in tante altre parti del mondo di cui quasi nessuno parla. Soprattutto in Africa: Nigeria, Sudan, Sud Sudan, Somalia, Camerun, Mozambico, Etiopia, Repubblica democratica del Congo, Burkina Faso, Libia. Ma anche Haiti, Colombia, Messico, Yemen, Iran, Iraq, Libano, Myanmar, Pakistan.
Almeno trecento persone hanno partecipato ieri alla Marcia della pace organizzata, come avviene da tempo il giorno di Capodanno, dalla Comunità di Sant'Egidio. Un serpentone colorato, partito pochi minuti dopo le 16 da piazza Cavour con l'accompagnamento del corpo bandistico Broggio di Castelletto Ticino, ha attraversato le vie dello shopping, dove tanti si sono fermati ad assistere al passaggio e anche a filmarlo con i cellulari. L'arrivo è stato alla sala Borsa in piazza Martiri, dove i partecipanti hanno potuto ascoltare alcune testimonianze.
L'appuntamento in occasione della Giornata mondiale della pace, che si celebra da 58 anni, ha detto prima della partenza Daniela Sironi, responsabile regionale di Sant'Egidio, «quest'anno ha un valore speciale perché il 2025 è l'anno del Giubileo dedicato alla speranza. Nel mondo c'è troppa guerra, troppa rassegnazione alla guerra e troppi interessi a mantenerla».
Presenti alcuni rappresentanti istituzionali come il consigliere regionale Domenico Rossi e il presidente del Consiglio comunale di Galliate Cosimo Bifano. La prima testimonianza è stata di Sami Awikeh, siriano di Aleppo: «Finalmente per il mio Paese c'è speranza dopo 60 anni di dittatura e 14 di guerra con fazioni in lotta tra loro, un milione di uccisi, 130 mila dispersi, 13 milioni di sfollati. Ora una dittatura è caduta, ma un'altra potrebbe nascere: la speranza non può sorgere senza l'aiuto del mondo. Io sono uno dei 13 milioni che hanno dovuto fuggire. Sono stato sette anni in Libano da clandestino, senza documenti, poi con l'aiuto della Comunità di Sant'Egidio, tramite un corridoio umanitario, ho ricevuto una speranza che è diventata una nuova vita. Da due anni sono in Italia. Desideravo pace, stabilità, tranquillità: l'Italia me li ha donati».
Poi il microfono è passato a chi anche qui la guerra l'ha vissuta: Edda Bonfiglioli, 90 anni. Ha rievocato i bombardamenti e la fame: «La guerra fa parte della mia infanzia. Ricordo una mattina in cui la mamma, contrariamente al solito, volle accompagnarmi a scuola. Lo fece perché non potessi vedere che in piazza Cavour c'era un ragazzo impiccato, un partigiano».
Svitlana Shevchenko, ucraina rifugiata a Novara, ha portato la sua testimonianza per il terzo anno consecutivo: «Mai avremmo pensato che questa guerra sarebbe iniziata e non ne vediamo la fine. Ogni famiglia ha perso qualcuno: un padre, un fratello, un figlio. Muoiono soldati ma anche tanti civili. La popolazione è in uno stato di disperazione, tanti hanno bisogno di aiuto psicologico. C'è molto odio, imposto anche dalla propaganda. Non diamo mai la pace per scontata».
[ Claudio Bressani ]