Migranti e Federico II
Negli ultimi giorni il Dipartimento di Scienze Politiche e l'intera Federico II hanno vissuto una delle più importanti giornate di quest'anno in cui ricorrono gli 800 anni dalla fondazione dell'Ateneo. Dimitri Kue e Omar Marong, due giovani studenti africani giunti diversi anni fa dopo avere attraversato il Mediterraneo con i «viaggi della speranza», hanno conseguito la laurea magistrale in «Relazioni Internazionali e Analisi di scenario» e in «International Relations».
Hanno discusso, suscitando grande interesse nella commissione e fra il pubblico, le tesi focalizzate sui loro Paesi: Dimitri sul Camerun e i rapporti commerciali con l'Europa, Omar sul ruolo delle imprese multinazionali in Gambia durante la dittatura. Riportare questi temi dà l'idea di quanto l'apporto culturale dei ragazzi migranti può essere benefico per le nostre università. La loro presenza allarga i circuiti della «internazionalizzazione», spingendo lo sguardo su aree geografiche di solito poste ai margini e che invece rivelano la potenzialità di nuovi orizzonti. In un tempo in cui, in modo ossessivo, si afferma che chi giunge fra noi da altri continenti attraverso itinerari lunghi e altamente rischiosi è «clandestino» da isolare ed espellere, quanto è accaduto nelle aule di una delle università più prestigiose d'Europa è una secca smentita.
Eppure, si continua a essere prigionieri di una fissazione che ha addirittura accresciuto le difficoltà di chi, avendo acquisito un titolo di studio, si imbatte nelle opache lungaggini burocratiche. Lungaggini che al termine dell'iter possono determinare il disconoscimento di quanto conseguito nelle scuole e Università del proprio Paese.
Dimitri e Omar sono delle eccellenze, e non solo loro: Kamila, Talween, Randy, Clement e tanti altri oggi, dopo avere conseguito la laurea alla Federico II, hanno trovato un'ottima collocazione professionale. Insomma, bisogna cominciare a pensare che la massima parte dei giovani che vengono qui a costruire il loro futuro sono fortemente motivati nel volere un futuro migliore soprattutto negli studi e non soltanto dal punto di vista lavorativo. Lo si percepisce con chiarezza nella Scuola di Lingua Italiana della Comunità di Sant'Egidio, affollata di nuove generazioni di migranti desiderose di perfezionare la loro formazione nell'università, pur in una situazione oggettiva di grande difficoltà segnata da lavori precari ma essenziali e da condizioni abitative proibitive per il notevole incremento degli affitti. La Scuola, peraltro è stato uno snodo fondamentale per fare convergere risorse da parte di privati che mediante borse di studio hanno meritoriamente agevolato il coronamento del sogno di questi ragazzi.
Le nuove generazioni di migranti, anche per una inadeguata legge sulla cittadinanza, scontano una grande fatica nel cercare di realizzare le proprie ambizioni e di vivere un loro giusto protagonismo. Forse è il caso di iniziare a pensare che loro sono già il presente dell'Italia, un aspetto che dovrebbe impegnare chi è più avanti negli anni nell'assumere maggiore responsabilità e capacità di saper fare spazio a chi viene dopo, anche se sono cittadini di fatto ma non di diritto. Un orientamento di questo tipo richiede coraggio, conoscenza diretta e ascolto delle storie di questi ragazzi, maturità nell'immaginare un futuro oltre se stessi. E' la continuità generazionale che da sempre regge le sorti del nostro vivere insieme, arricchita di ragazzi come Dimitri e Omar. Apriamo gli occhi e cogliamo questa opportunità straordinaria per noi e per il nostro Paese.
Hanno discusso, suscitando grande interesse nella commissione e fra il pubblico, le tesi focalizzate sui loro Paesi: Dimitri sul Camerun e i rapporti commerciali con l'Europa, Omar sul ruolo delle imprese multinazionali in Gambia durante la dittatura. Riportare questi temi dà l'idea di quanto l'apporto culturale dei ragazzi migranti può essere benefico per le nostre università. La loro presenza allarga i circuiti della «internazionalizzazione», spingendo lo sguardo su aree geografiche di solito poste ai margini e che invece rivelano la potenzialità di nuovi orizzonti. In un tempo in cui, in modo ossessivo, si afferma che chi giunge fra noi da altri continenti attraverso itinerari lunghi e altamente rischiosi è «clandestino» da isolare ed espellere, quanto è accaduto nelle aule di una delle università più prestigiose d'Europa è una secca smentita.
Eppure, si continua a essere prigionieri di una fissazione che ha addirittura accresciuto le difficoltà di chi, avendo acquisito un titolo di studio, si imbatte nelle opache lungaggini burocratiche. Lungaggini che al termine dell'iter possono determinare il disconoscimento di quanto conseguito nelle scuole e Università del proprio Paese.
Dimitri e Omar sono delle eccellenze, e non solo loro: Kamila, Talween, Randy, Clement e tanti altri oggi, dopo avere conseguito la laurea alla Federico II, hanno trovato un'ottima collocazione professionale. Insomma, bisogna cominciare a pensare che la massima parte dei giovani che vengono qui a costruire il loro futuro sono fortemente motivati nel volere un futuro migliore soprattutto negli studi e non soltanto dal punto di vista lavorativo. Lo si percepisce con chiarezza nella Scuola di Lingua Italiana della Comunità di Sant'Egidio, affollata di nuove generazioni di migranti desiderose di perfezionare la loro formazione nell'università, pur in una situazione oggettiva di grande difficoltà segnata da lavori precari ma essenziali e da condizioni abitative proibitive per il notevole incremento degli affitti. La Scuola, peraltro è stato uno snodo fondamentale per fare convergere risorse da parte di privati che mediante borse di studio hanno meritoriamente agevolato il coronamento del sogno di questi ragazzi.
Le nuove generazioni di migranti, anche per una inadeguata legge sulla cittadinanza, scontano una grande fatica nel cercare di realizzare le proprie ambizioni e di vivere un loro giusto protagonismo. Forse è il caso di iniziare a pensare che loro sono già il presente dell'Italia, un aspetto che dovrebbe impegnare chi è più avanti negli anni nell'assumere maggiore responsabilità e capacità di saper fare spazio a chi viene dopo, anche se sono cittadini di fatto ma non di diritto. Un orientamento di questo tipo richiede coraggio, conoscenza diretta e ascolto delle storie di questi ragazzi, maturità nell'immaginare un futuro oltre se stessi. E' la continuità generazionale che da sempre regge le sorti del nostro vivere insieme, arricchita di ragazzi come Dimitri e Omar. Apriamo gli occhi e cogliamo questa opportunità straordinaria per noi e per il nostro Paese.
[ Francesco Dandolo ]