Giorgio Musso racconta l'esperienza dei volontari: «In tanti si mettono a disposizione, specie i giovani: non è vero che quelli di oggi sono indifferenti, ma bisogna dar loro spazi e opportunità»
Parlare con Giorgio Musso, responsabile della comunità sant'Egidio di Pavia, mi rende consapevole che delegare il prossimo ad opere di carità, solidarietà ed altruismo, è in qualche misura limitativo. Giorgio, 42enne originario di Genova, città dove vive facendo la spola con quella lombarda, è uno che con il suo entusiasmo coinvolge, tanto che viene da dire: ma, se davvero è così bello come racconti, allora voglio farlo anch'io.
Quando è cominciata la tua esperienza di volontario presso la Comunità Sant'Egidio?
«Nel 1999, quando frequentavo l'Università a Pavia: all'inizio il nostro gruppo era costituito da studenti fuori sede, ma ben presto si è radicato in città».
Da cosa siete partiti?
«Dal desiderio di pregare insieme. Ci incontravamo una volta alla settimana per la preghiera di Sant'Egidio. È un'orazione semplice, basata sull'ascolto della Scrittura e il canto dei salmi. Oggi la preghiera rimane il cuore della vita della Comunità, e a Pavia si svolge ogni lunedì e mercoledì alle 19.30, nella chiesa di San Luca. Vi sono poi momenti con memorie particolari: il primo lunedì del mese la preghiera è dedicata all'intercessione per i malati, mentre il terzo lunedì del mese si prega per la pace: leggiamo i nomi dei Paesi coinvolti in conflitti bellici, come se fosse un "rosario geografico" in cui non esistono guerre dimenticate».
Voi siete però conosciuti per le vostre azioni di solidarietà concreta.
«Uno dei nostri primi impegni, che dura ancora oggi, è stato rivolto verso gli anziani dell'Istituto Pertusati di Pavia Si tratta di un centro con 300 ospiti. Credo che loro, a fianco ai senza fissa dimora, agli immigrati, agli emarginati, siano veri e propri mondi nascosti da scoprire: molti sono soli, senza che nessuno possa concretamente prendersi cura di loro, nell'Istituto, ma non solo. Oltre agli anziani, direi che oggi il nostro impegno principale a Pavia è quello per i bambini».
Cosa fate per loro?
«Li seguiamo a partire dai compiti che devono fare, ospitandoli nella nostra Scuola della pace. Abbiamo minori sino ai 17 anni. Molti provengono dal quartiere Crosione, il cui piazzale principale, quando siamo arrivati lì nel 2007, era noto quale crocevia dello spaccio di droga Negli anni successivi il problema sembrava essersi affievolito, ma sta purtroppo tornando alla ribalta. La Scuola della pace vuole essere punto di riferimento per il quartiere: le famiglie, gli insegnanti, gli assistenti sociali si rivolgono a noi. Incontriamo tutti, cercando di innescare dinamiche di integrazione, riscatto, riqualificazione della zona. Un altro elemento della Scuola della pace è quello dell'impegno giovanile: seguiamo quasi 150 minori perché ci sono tanti universitari e liceali che si mettono a disposizione Non è vero che i giovani d'oggi siano indifferenti, ma bisogna dare loro spazi e opportunità».
Accennavi ai senza fissa dimora.
«Due volte la settimanali incontriamo in stazione per offrire loro un pasto caldo. Sono come invisibili, dormono in luoghi nascosti, e quando sanno che trovano noi o volontari di altre comunità convergono e fanno gruppo. Inoltre, il sabato pomeriggio offriamo la merenda, e c'è anche la possibilità di fare una doccia calda, utilizzare la lavatrice o fare un cambio d'abiti. Ci troviamo in un locale preso in affitto alla parrocchia San Michele. Questo ambiente è stata la nostra prima sede. Ma adesso stiamo ultimando la ristrutturazione di un edificio del vecchio oratorio di San Primo, che prenderà il nome di Casa dell'amicizia Stiamo ancora cercando fondi per terminare i lavori. Per i primi 20 anni abbiamo creato e strutturato la comunità, e adesso ci diamo una casa, un luogo di ritrovo dove potremo offrire i nostri servizi».
Vorrei però chiederti di raccontarmi di una vostra particolare iniziativa, che mi ha sempre colpito.
«Quale?»
Il pranzo di Natale, quello che fate appunto il giorno 25 dicembre, in tantissime città italiane.
«A Pavia lo abbiamo avviato nel 2011. Ricordo che in quella prima occasione vennero 80 ospiti, e lo organizzammo nella chiesa di San Michele, forse la più simbolica e suggestiva tra le chiese della città».
Come si svolge?
«Le cose si sono evolute nel tempo. Quest'anno svolgeremo il pranzo in tre luoghi differenti per un totale di quasi 500 persone. E nei giorni precedenti alla festa del 25 avremo altri momenti conviviali: ad esempio, in carcere e all'Istituto Pertusati, quello - ricorderai - per gli anziani; la cosa bella è che in questo istituto, ad animare la festa, saranno proprio ragazzi che sono cresciuti con noi alla Scuola della pace; è bello vedere questi giovani, spesso additati come ragazzi da cui scaturiscono problemi, impegnati per i più deboli. In tutto il mondo, i giovani di Sant'Egidio si riconoscono in un movimento che si chiama "Giovani per la pace". È un nome significativo, specialmente oggi, perché dà un'identità ai ragazzi. Come dicevo si tratta di giovani che, molte volte, sono cresciuti per anni con noi, alla Scuola della pace. Quando crescono, a propria volta, questi ragazzi diventano portatori di iniziative per altri. Per quanto riguarda i pranzi di Natale, poi, un aiuto fondamentale arriva anche dai carcerati»
Vale a dire?
«Sono loro che preparano i pranzi, avendo la struttura penitenziaria un laboratorio dove è possibile cucinare per così tante persone. Alcuni detenuti, avendo un permesso speciale, vengono a servire anche ai tavoli. Specificamente: 370 pasti sono preparati in carcere, gli altri 100 sono offerti da un'importante azienda del territorio, la ditta Planeat. Attorno al pranzo poi ci sono tante iniziative collaterali, grazie alle quali chiunque può sostenere la buona riuscita di questa giornata».
Spiegami.
«Raccogliamo doni nuovi, come sciarpe, cosmetici, giocattoli, bigiotteria ed altro ancora Oppure è possibile offrire dolciumi natalizi. È possibile richiedere informazioni alla nostra email info@santegidlopvit oppure tramite whatsapp al numero 3515711571: qualunque cosa è ben accetta»
Questo pranzo è entrato nel cuore della gente, a livello anche d'immaginazione.
«È un pranzo che fa bene a tutti. Papa Benedetto XVI, visitando a Roma la mensa di Sant'Egidio in via Dandolo, espresse un pensiero significativo, dicendo: questo è un luogo dove chi aiuta si confonde con chi è aiutato. E Papa Francesco riprese il concetto aggiungendo: protagonista di questo incontro è l'abbraccio. Questi pranzi non sono un servizio mensa, non costituiscono un momento di consolazione, ma rappresentano la festa di una grande famiglia, generando un clima intimo, speciale».
Prova a descrivermi ciò con parole diverse, per farmi capire meglio.
«A questo pranzo convergono molte persone sole. Certamente, l'elemento della solitudine non va dimenticato; però in questo evento è come se si dissolvesse perché prevale un senso di gioia nel vivere e celebrare insieme il Natale in una dimensione di comunità. Vengono anche tante famiglie a servire No, non solo genitori separati. Ma famiglie intere, papà e mamme con i loro figli, che vogliono scoprire e vivere la dimensione di un Natale vissuto per gli altri e con gli altri».
Un pensiero finale?
«Vorrei dire che molto spesso, all'interno della Chiesa, si avverte come una sensazione di declino, l'idea di essere una minoranza che deve resistere, e che fatica a mantenere le strutture ereditate dal passato. Ma la storia, per i cristiani, è sempre stata piena di stide.Anzi la sfida è proprio stare dentro la storia e non farsi prendere dalla tentazione di fuggire, o di creare un'isola felice. Noi non crediamo di avere tutte le soluzioni in tasca, ma vorremmo che Sant'Egidio rappresentasse il volto di un cristianesimo felice, in mezzo alla gente, che crea legami. Perché la nostra è una società di tante solitudini, e oggi molti avvertono il limite dell'individualismo. Per questo c'è domanda di comunità, di amicizia, e anche di interiorità. Il Vangelo può ancora attrarre molti, sta a noi viverlo e comunicarlo».
[ Eugenio Lombardo ]