Riccardi: «È ora di negoziare. Avere il coraggio della pace»

Comunità di Sant'Egidio
L'intervista. Andrea Riccardi. Fondatore della comunità di Sant'Egidio
Andrea Riccardi, storico, politico, fondatore della comunità di Sant'Egidio, una vita di impegno per la pace e il dialogo la sua. Ha di recente pubblicato il libro «Le parole della pace», EdB edizioni, in cui ripercorre il cammino degli incontri di pace e dialogo di Assisi, voluti dall'allora papa Giovanni Paolo II che credeva fermamente nel ruolo delle religioni per combattere l'odio e favorire cammini di pace.
Professore come ricorda il primo incontro interreligioso di Assisi?
Guardi quell'incontro dell'ottobre 1986 fu una prima mondiale. L'immagine finale di quell`incontro, con i leader religiosi, uno accanto all'altro, credo che sia una delle grandi immagini del ventesimo secolo. "Pregheremo, disse Giovanni Paolo II, gli uni accanto agli altri", non gli uni contro gli altri, non gli uni in assenza degli altri e la pace era il grande tema, gridare il bisogno della pace, perché in fondo, in ogni tradizione religiosa, c'è il valore della pace. Io c'ero ad Assisi nel 1986 e la sensazione che si ebbe in quel giorno era di una giornata straordinaria.
Da allora si parla proprio dello spirito di Assisi, invocato nei momenti difficili di tensione geopolitica?
Sì, dopo quell'incontro si è cominciato a parlare dello spirito di Assisi. Giovanni Paolo II invitò ad aprire un cantiere di dialogo interreligioso e di lavoro per la pace e la comunità di Sant'Egidio nel 1987 decise di continuare a Roma quel tipo di incontri e ci fu una risposta tra le religioni che ci stupì veramente, quasi ci fosse una grande sete di incontro, di uscire dal proprio ambito nazionale ristretto. Non tutti furono d'accordo, ad esempio i lefebvriani per molto protestarono, ma anche nella curia romana non pochi pensavano che una simile iniziativa avrebbe dovuto prenderla solo il pontefice. Fummo ricevuti dal Papa nel 1987 con tutti i leader religiosi e il Papa ci disse continuate, perché lui voleva che il cammino di Assisi continuasse anche se lui stesso aveva difficoltà a continuarlo e così noi continuammo, anno dopo anno. Nel 1989 ad esempio arrivammo a Varsavia, era il primo settembre, per l'anniversario dell'inizio della seconda guerra mondiale, c'era ancora un clima di tensione e fu la scoperta di una Polonia cattolica da parte per esempio dei musulmani che pensavano che l'Europa fosse un mondo secolarizzato.
Guardi le religioni hanno una forza non economica e politica, ma hanno una forza debole che è quella del dialogo e della preghiera. La preghiera è dialogo e c'è uno stretto rapporto tra dialogo e preghiera. Papa Ratzinger ha avuto un atteggiamento di maggiore prudenza sul cammino dello spirito di Assisi, ma noi comunque abbiamo continuato, lui ha inviato dei messaggi. Siamo arrivati poi al pontificato di Bergoglio, a quando Francesco ha detto il mondo "soffoca per mancanza di dialogo".
Papa Francesco da subito ha denunciato il rischio della terza guerra mondiale a pezzi. Ormai è sotto gli occhi di tutti quello che sta succedendo. Dal suo osservatorio di Sant'Egidio di grande impegno per la pace, sui due fronti ucraino e mediorientale che cosa ora si può fare?
Voglio prima sottolineare che Papa Francesco ha partecipato al cammino di Assisi, venendo una volta ad Assisi, due volte al Colosseo e una al Campidoglio. Lui ci crede che le religioni siano una forza di dialogo, ma oggi noi vediamo il contrario, vediamo che le guerre stanno dividendo le religioni. Pensiamo al mondo ortodosso, lei ha citato proprio l'Ucraina, una situazione in cui la guerra diventa anche religiosa, con la chiesa russa ortodossa schierata con Putin e quelle ucraine solidali con la loro battaglia, vediamo quindi una situazione di divisione tra le religioni.
Che cosa si può fare mi chiede. Moltissimo però bisogna dire che cosa si vuole fare, io credo che non si voglia fare molto. In Terra Santa Hamas ha scatenato tanto dolore e morte e poi c'è stato il processo fortissimo di risposta contro Gaza, che si è progressivamente allargato, facendo dei palestinesi un ostaggio della guerra. E per quanto riguarda il quadro russo ucraino, non dimentichiamoci che a soli due mesi dall'inizio della guerra sembrava possibile un accordo e l'accordo non lo si è voluto e il prezzo oggi lo paga il popolo ucraino, in gran parte distrutto. In questo senso la pace è una necessità, ma purtroppo la pace è stata espulsa dal vocabolario politico internazionale, come il dialogo, oggi si parla solo di armamenti, di conflitti, etc. Io invece credo che bisogna avere il coraggio della pace e il Papa ci richiama a questa responsabilità continuamente, è l'ora di negoziare.
Per il Medio Oriente quale strada bisogna battere?
Credo che questa non sia l'ora delle semplificazioni, non è facile indicare la strada, l'obiettivo è arrivare al sogno di Rabin, quello di una pace tra israeliani e palestinesi, ora però lontana. Per ora almeno è necessaria una tregua, fermare le armi, risparmiare le vite umane.
Professore c'è un altro timore, un timore fondato, quello di un ritorno di antisemitismo.
Ho recentemente pubblicato un libro con Edith Bruck, si intitola Oltre il male. Affrontiamo il tema dell'odio che sta paralizzando il nostro tempo e l'antisemitismo è una componente fondamentale di questa realtà, inspiegabile. Noi ci chiediamo quale è il male e il male è l'odio che porta alla guerra, l'antisemitismo non ha giustificazioni se non nel cuore e nella mente di chi vive questo sentimento, che si nutre di paura, di pregiudizi radicati e via dicendo. Dobbiamo rispondere con molta forza, dobbiamo evitare che succeda come in altre stagioni della storia che gli ebrei siano lasciati soli, come avvenne in Italia.
 

[ Catia Caramelli ]