Vie legali di ingresso e percorsi di integrazione

Vie legali di ingresso e percorsi di integrazione

Non solo accordi con Paesi terzi: il Vecchio Continente cerca nuovi strumenti di gestione dei flussi migratori

 La Turchia, la Libia, la Tunisia. Sono alcuni dei Paesi interessati più o meno recentemente da accordi dell'Unione europea o di singoli Stati Ue con l'obiettivo di gestire i flussi migratori verso il Vecchio Continente. L'ultimo in ordine di tempo è stato quello siglato a inizio novembre dall'Italia con l'Albania - Paese candidato all'adesione Ue e per il quale Bruxelles nel 2020 ha dato il via libera ai negoziati - con l'obiettivo di realizzare un centro di prima accoglienza e una struttura sul modello dei Cpr, su territorio albanese ma sotto giurisdizione italiana.
Era il 2016 quando l'Unione Europea metteva nero su bianco l'intesa con Ankara che mirava a fermare l'afflusso rimandando in Turchia i migranti, perlopiù siriani, sorpresi a entrare irregolarmente in Grecia o la cui domanda di asilo fosse stata giudicata inammissibile o infondata. Per ogni siriano rimpatriato, un altro sarebbe stato collocato in Unione europea, prevedeva il testo firmato dall'allora cancelliera tedesca Angela Merkel e dal presidente turco Recep Tayyip Erdogan. In cambio, Bruxelles si impegnava a dare ad Ankara finanziamenti su larga scala, partendo da 6 miliardi di euro per ampliare le dinamiche di coesione sociale in Turchia.
Nel tempo più volte, da entrambe le parti, si sono registrati malumori e critiche. Le autorità turche hanno lamentato ritardi e insufficienza dei fondi, minacciando l'apertura dei confini. Ma dalla Turchia era partita per esempio anche l'imbarcazione in legno che a fine febbraio di quest'anno si è tragicamente spezzata nel naufragio al largo di Cutro, in Calabria, inghiottendo più di 90 vite di afghani, somali, iraniani, alimentando le polemiche e lo sdegno nell'Ue e non solo.
«Esternalizzare il controllo delle frontiere europee a Paesi terzi «non risolve il problema dei flussi migratori nei vari Stati europei: l'unico modo rimane quello di creare vie legali di ingresso, che attualmente non ci sono o sono poche e molto restrittive», fa notare Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant'Egidio per i servizi ai migranti, coordinatrice del programma sui corridoi umanitari. «I racconti dei migranti sono terribili, parlano di violenze subite lungo il loro viaggio ma anche di respingimenti in mare. Ma in mare - sottolinea Pompei - non si possono fare azioni di deterrenza, bisogna solo aiutare, cioè salvare le persone, che vengono da situazioni in cui la fuga è l'unica via di salvezza».
È del febbraio 2017 il memorandum d'intesa sulla migrazione tra Italia e Libia, con cui i Paesi sulle due sponde del Mediterraneo si impegnavano in processi di cooperazione, contrasto all'immigrazione illegale e rafforzamento della sicurezza delle frontiere. Quello che poi è accaduto nella realtà è stato ben diverso, secondo varie realtà impegnate nei salvataggi in mare o al fianco dei migranti e in base a inchieste giornalistiche, indagini giudiziarie, denunce dell'Onu: violenze, torture, abusi sessuali e detenzione arbitraria di uomini, donne e bambini, intrappolati in Libia o respinti nel Paese nord africano, dopo essere stati rintracciati nel Mediterraneo e rinchiusi in quei luoghi che Papa Francesco non ha esitato a definire «lager».
In uno scenario politico «complicato» come quello libico, la rappresentante della Comunità di Sant'Egidio ricorda ciò che i migranti in arrivo dalla Libia riportano: le «bande di trafficanti li arrestano, li torturano, li sottopongono ad atrocità di ogni tipo». Cita la testimonianza portata al Papa da una donna eritrea, ricevuta da Francesco in udienza nel marzo scorso con le famiglie rifugiate giunte con i corridoi umanitari. Meskerem, questo il suo nome, «è stata rinchiusa in un centro di detenzione: ha parlato - dice Daniela Pompei - di un "inferno". Lì ha poi conosciuto un uomo, un somalo, che l'ha difesa e con lui alla fine fortunatamente si è sposata e ha trovato una via che l'ha condotta in Italia».
Del luglio scorso invece la firma di un memorandum d'intesa tra l'Unione europea e la Tunisia relativo alla cooperazione su una vasta gamma di dossier, a partire proprio da quello migratorio, quando però le organizzazioni in difesa dei diritti umani denunciavano un aggravamento delle condizioni dei migranti e dei richiedenti asilo di origine sub-sahariana nel Paese nordafricano. Ma le partenze non si sono fermate: a provarlo anche gli ultimi arrivi da Sfax a Lampedusa, nel quadro generale della rotta migratoria più trafficata verso l'Ue, quella del Mediterraneo centrale, come ribadito da recenti dati pubblicati dall'agenzia europea Frontex.
In effetti, sottolinea Pompei, è «da prima del 1990 che assistiamo a tali fenomeni, possiamo definirli quasi una caratteristica strutturale. Per questo andrebbero affrontati con delle soluzioni diversificate, che possono voler dire visti per motivi di lavoro più semplici o ricongiungimenti familiari», aggiunge la responsabile della Comunità di Sant'Egidio per i servizi ai migranti, che cita anche l'impegno per i corridoi umanitari. Si tratta di un'esperienza, spiega, avviata da Sant'Egidio col «primo protocollo sottoscritto col governo italiano nel dicembre del 2015: i primi corridoi arrivarono a febbraio del 2016, dal Libano, con i richiedenti asilo siriani. Da allora - prosegue - siamo arrivati al terzo protocollo per il Paese dei cedri, portato avanti con la Federazione delle Chiese evangeliche in Italia». Ne sono seguiti altri, «con la Conferenza episcopale italiana per il Corno d'Africa», poi quelli dalla Libia e dall'Afghanistan, quelli legati alla sollecitudine del Papa per i migranti ospitati a Lesbo - dove il Pontefice si è recato nel 2016 e nel 2021 - e quello per Cipro. In totale sono arrivate in Italia 5.800 persone dal 2016. E, se teniamo presenti quelli aperti in Francia e in Belgio, possiamo contare 6.700 persone giunte in totale in Europa». Un modello «di ingresso legale» che ingloba un «percorso di integrazione» portato avanti dalla società civile ma, auspica, da «replicare anche a livello di Stati». 


[ Giada Aquilino ]