Ibrahim, 20 anni, dall'Egitto: "In quel foglio la mia speranza di continuare a studiare"
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Ibrahim, 20 anni, dall'Egitto: "In quel foglio la mia speranza di continuare a studiare"

Aveva 15 anni Ibrahim Bishadi quando è partito da casa sua, in una città a metà strada fra Il Cairo ed Alessandria, in Egitto. Oggi ne ha 20, vive a Novate Milanese con un permesso per protezione speciale ottenuto dopo essere giunto in Italia con i corridoi umanitari della Comunità di Sant'Egidio.

Che cosa fa qui in Italia?

«Sto frequentando la seconda classe del corso di operatore elettrico ed elettrotecnico, vorrei lavorare nella robotica. Ho imparato l'italiano, l'estate scorsa ha fatto un tirocinio di tre mesi in una cooperativa sociale che fa i quadri elettrici. Vivo in una famiglia di persone vicine alla Comunità di Sant'Egidio, Amalia Fumagalli e suo marito sono pensionati, hanno tre figli grandi, mi hanno accolto con grande affetto. Da loro mi sento a casa».

Perché è venuto in Italia?

«Il mio sogno era di venire qui a studiare per costruirmi un futuro. In Egitto non era possibile, non ci sono prospettive per un ragazzo come me . Vengo da una famiglia di ceto medio, ma siamo in quattro fratelli, a casa non bastavano mai i soldi».
I suoi genitori hanno deciso di farla partire?
«Sì, avevo 15 anni. Hanno speso duemila dollari per il mio viaggio. Prima l'aereo fino a Istanbul, poi a piedi fra le montagne fino a Smirne, sono rimasto tre mesi in Turchia, infine il gommone per arrivare a Samos. Al campo profughi ho vissuto due anni come in una specie di limbo. Non facevo nulla tutto il giorno».

Come è arrivato a Sant'Egidio?

«Nel 2019 quando si è aperto il canale dei corridoi umanitari sono stato segnalato da un'amica che aveva contatti con loro. Ho dovuto attendere ancora tanto perché arrivassero i documenti e con la fase dura della pandemia tutto sembrava essersi fermato».

Cosa ha fatto in quel tempo sospeso?

«L'amica fa parte dell'ong "Still I rise" che aveva organizzato una scuola per i minori che erano nel campo. Lì facevano lezione in inglese, una lingua che sarebbe servita in futuro».

E a quel punto?
«Un giorno mi hanno detto che era venuto il mio turno per partire, sono arrivato a Roma poi da lì a Milano. Qui è iniziata la mia nuova vita. Ho appuntamento l'8 maggio per ricevere il permesso con la protezione speciale in Questura a ritirarlo. Dura due anni e potrò rinnovarlo ancora per un anno. Intanto spero di aver trovato un lavoro. Io ora mi sento a casa qui».

Cosa pensa dell'Italia?
«È il Paese che mi ha accolto, dove spero di avere un futuro. Sto facendo un percorso di integrazione, spero che non venga preclusa la possibilità di avere un permesso per motivi umanitari. Questo obbligherebbe me e altri miei amici all'illegalità: siamo in tanti nella stessa situazione, alcuni lavorano già. Lo abbiamo anche raccontato al Papa Francesco che il 18 marzo ci ha ricevuti in Vaticano con migliaia di altri giovani arrivati con i corridoi».


[ Zita Dazzi ]