Se l’accoglienza fallisce la città è un po' meno bella

Il dramma clochard

Bellezza e solidarietà sono un binomio inscindibile. Soprattutto a Napoli. Il tavolo tecnico sul decoro istituito dalla giunta Manfredi che ha il compito di organizzare le azioni di riqualificazione di alcuni siti della città, a partire dalla Galleria Umberto I, non può non tenerne conto. 
Dell’annosa questione dei clochard che dormono all’interno del “salotto buono” di Napoli, se n’è parlato molto in questi giorni. Si tratta di una decina di persone che la sera arrivano con i loro cartoni per farne un alloggio di fortuna. Perché si fermano proprio all’interno della Galleria? La risposta è molto semplice: perché è un posto con un tetto, e soprattutto nelle notti gelide garantisce un minimo di riparo dal freddo. Altri, invece trovano sistemazione presso altri luoghi, più o meno protetti, ognuno come può.  
Certo non è auspicabile che una delle bellezze di Napoli resti in uno stato di 
abbandono, così come è altrettanto doveroso che queste persone trovino una sistemazione dignitosa.  Ma diciamolo con chiarezza: la causa principale del degrado della Galleria non risiede nei dieci poveri che ci dormono, ma nelle condizioni di incuria in cui versa, per cui se piove si allaga, con le impalcature che rappresentano un vero pericolo per l’incolumità pubblica. Tutti ricordiamo la tragedia del ragazzo morto alcuni anni fa per la caduta di calcinacci. 
Ma tornando ai senza dimora, si tratta di un fenomeno complesso e di non facile soluzione. I motivi per cui si finisce per strada sono tanti, dalla perdita del lavoro a quella della casa, dal fallimento di un matrimonio all’insorgere di una patologia psichiatrica. Quasi mai si tratta di una scelta volontaria e quasi sempre si tratta di persone abbandonate al loro destino. A volte lentamente, altre improvvisamente, la vita di persone marginali naufraga nel mare della miseria e nelle difficoltà di un’esistenza diventata difficile. 
Vite segnate da piccoli e grandi fallimenti che poi diventano drammi esistenziali da cui diventa difficile uscirne fuori. A volte l’alcool diventa il modo per stordirsi e sopportare il dolore e le umiliazioni. Il primo bisogno è quello di un alloggio. Sappiamo che a Napoli sono ancora troppo pochi i posti disponibili per coloro che ne hanno bisogno. Mandare via dalla Galleria i clochard senza alternative valide, come è successo lo scorso anno, ha significato solo allontanarli qualche metro più in là. Non sapendo dove andare sono poi tornati al punto di partenza. 
L’esperienza dei volontari insegna che bisogna stabilire dei rapporti di fiducia, che si possono costruire nel tempo con pazienza e delicatezza.  Sappiamo che alcuni di coloro che dormivano in Galleria si sono riavvicinati alle famiglie e adesso dormono sotto un tetto. Sono operazioni di ricucitura non sempre facili, ma che a volte riescono. Una volontaria mi ha raccontato che il giorno della distribuzione ha ricevuto una telefonata da uno di questi che la rassicurava: “Guarda che stasera non mi trovi, sono a casa di mia sorella”. E poi c’è bisogno di supporto specialistico, soprattutto per i tossicodipendenti e i malati mentali. Si dovrebbero anche adottare procedure più veloci per l’accesso alle comunità terapeutiche e alle case famiglie per pazienti psichici, così come garantire le dimissioni protette per chi esce dall’ospedale ed è nel momento di grande fragilità. 
Per fare questo e altro occorre una grande azione di raccordo tra diversi soggetti, istituzionali, del volontariato e del terzo settore. Senza imposizioni e pretese di decisioni unilaterali, ma rispettando l’identità di ognuno. La povertà non è una colpa e non può essere cancellata lasciando al freddo e con i morsi della fame chi è caduto in miseria, tantomeno con una azione di ordine pubblico. 
La bellezza di Napoli non è solo quella dei monumenti o del panorama. La città ha fatto dell’inclusione e dell’accoglienza un suo modo di essere, soprattutto nei momenti difficili. Anche per questo è conosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Ci auguriamo per il popolo dei senzatetto un finale meno amaro di quello di Felice Sciosciammocca, che in Miseria e nobiltà si congedava dicendo: “Torno nella miseria però non mi lamento, mi basta di sapere che il pubblico è contento”.


[ Antonio Mattone ]