«Bergoglio mi esortò. Di' a don Matteo di restare sulla strada. L'ha nominato perché lui non è cambiato» .

L'intervista. Monsignor Paglia: noi insieme nelle borgate
É il samaritano della parabola. Negli anni Ottanta tutti erano affascinati da quel prete scamiciato, che cercava di convincere i ragazzi a tirarsi fuori dalla subalternità alla droga

L'arcivescovo Vincenzo Paglia sta aspettando che torni a casa per festeggiare il suo amico cardinale Matteo Zuppi, appena nominato dal Papa presidente della Cei. Quando Zuppi è a Roma - e adesso capiterà di frequente — il cardinale, arcivescovo metropolita di Bologna, si ferma sempre a dormire nella vecchia casa di Trastevere, dove tutto iniziò molti anni fa.
Era il 1981, quando monsignor Paglia a 36 anni divenne parroco della basilica di Santa Maria in Trastevere e a fargli da vice arrivò proprio lui, don Matteo Zuppi, di dieci anni più giovane e con tante idee in testa. Racconta monsignor Paglia, oggi presidente della Pontificia accademia per la vita e consigliere spirituale della Comunità di Sant'Egidio: «Ricordo le parole di Francesco, la prima volta che l'incontrai dopo la sua elezione, era il 20 aprile 2013: "Mi raccomando Paglia — così mi disse il Papa, chiamandomi direttamente per cognome — di' a don Matteo di restare sulla strada..."».
E nove anni dopo l'ha nominato presidente della Cei. Un segno di grande apprezzamento.
«Perché don Matteo è sempre rimasto sulla strada. Lui è il samaritano della parabola. Il samaritano che non scappa, che si ferma ad aiutare, a volte non aveva neanche il cavallo con sé e allora si è messo sulle spalle chi ha soccorso, non ha mai lasciato indietro nessuno. Negli anni Ottanta a Trastevere si smistava la droga, era un quartiere pericoloso, c'erano le bande, gli scout avevano paura a entrare in certi vicoli. Noi due invece entravamo dappertutto, ricordo lui concentrato per farsi capire da un gruppo di giovani tossicodipendenti che avevano occupato Palazzo Leopardi di fronte alla basilica. Sembravano affascinati da quel prete scamiciato, che cercava in tutti i modi di convincerli a tirarsi fuori dalla subalternità alla droga. E poi insieme andavamo a trovare gli anziani soli, ricordo Guglielmo a vicolo del Moro che ci aspettava fuori dalla porta e dopo la chiacchierata ci fermavamo a bere un goccetto di vino. Parlavamo con tutti, a vicolo del Cinque c'era la sede del Partito comunista e allora lunghi, interminabili discorsi anche con Gerardo Chiaromonte e gli altri intellettuali su una certa idea di società. E poi ancora i giri nelle borgate, Primavalle, Garbatella, per tutti. eravamo solo "don Paglia" e "don Matteo". A lui l'hanno sempre chiamato per nome, ispirava più confidenza...».
Come il celebre personaggio della fiction di RaiUno.
«Eh già, solo che quella era vita vera. Andavamo insieme a trovare i detenuti di Regina Coeli, passavamo il tempo con i clochard. Ricordo una notte di Pasqua, stavamo celebrando la messa e un homeless un po' ubriaco entrò in chiesa. Si mise al primo banco e quando arrivò il passo che diceva di dare da bere agli assetati si alzò in piedi e prese la parola: "Padri, scusate, ci disse, allora date da bere gratis un po' anche a me!"»
Voi due vi conoscete da una vita.
«Sì, è giusto dire così. Le vacanze insieme a Pescasseroli, anche quest'anno se Dio vorrà ci andremo. Matteo, voi non lo sapete, è un grande raccoglitore , appassionato di bici: se non ci fosse il traffico, visto il fisico che tiene, sono convinto che si farebbe Roma-Bologna in bicicletta senza mai prendere il treno. Ma Matteo, soprattutto, è un prete di pace. Sapete com'è fatta Santa Maria in Trastevere? Non si sale e non si scende per entrare in chiesa, tra la basilica e la piazza non c'è interruzione, non ci sono gradini, è tutto allo stesso livello. Così è la Chiesa per don Matteo.


[ Fabrizio Caccia ]