Sui rom c'è ancora molto da fare

Siamo giunti al termine del nostro viaggio nella galassia rom/sinti ed è arrivato il momento di tirare le fila. In questi tre mesi abbiamo incontrato tante persone: che risiedono nei campi; che, dopo lo sgombero del campo in cui abitavano da anni, vivono in un parcheggio su macchine o furgoni; che sono riuscite ad avere finalmente una casa, che lavorano regolarmente, ma che non riescono a scrollarsi di dosso lo stigma.
Abbiamo parlato con sacerdoti, operatori, volontari che si prodigano per garantire assistenza, istruzione, sostegno. Abbiamo scoperto che, a Roma, le persone identificate dalle istituzioni come rom presenti negli insediamenti formali e informali sono circa 6.000 e che la definizione "rom" non è del tutto corretta. Esistono, infatti, almeno 22 macro comunità ascrivibili a questo universo variegato, con differenze linguistiche, culturali, di storia e di tradizioni. Parlare di un unico popolo è, pertanto, inappropriato.
L'antropologo Leonardo Piasere, nel 1999, lo definì "Un mondo di mondi". Una realtà complessa che bisogna gestire e con cui occorre relazionarsi e interagire. Qual è il bilancio sulle politiche attuate dalle passate amministrazioni? Cosa fare per garantire il diritto all'istruzione, all'abitazione e al lavoro? La formula "Ufficio Speciale di scopo" funziona?
Abbiamo 
posto queste domande alle associazioni di categoria, 21 Luglio e Opera Nomadi, e a un esperto di politiche sociali, Paolo Ciani, consigliere comunale di Demos e membro della Comunità di Sant'Egidio.
«L'ultimo quinquennio amministrativo ha aggravato la già precaria condizione di rom e sinti che, secondo le nostre stime, sono circa tre volte più numerosi di quelli indicati dal Comune», risponde Massimo Converso, presidente dell'Opera Nomadi. «La scolarizzazione dei minori è addirittura peggiorata. I grandi mestieri di massa dei rom balcanici, cioè il commercio dell'usato e la raccolta differenziata, che riguarda anche i sinti exgiostrai, non sono stati regolati minimamente se non da un solo municipio della zona ovest della città». Inoltre, i progetti finanziati dal Comune e gestiti dalla Croce Rossa non hanno creato posti di lavoro, continua Converso, «né fra i khorakhanè della zona di Boccea né fra quelli di Ciampino, e la questione dell'applicazione della Legge 337/1968, che regolamenta l'attività dei circhi equestri e dello spettacolo viaggiante e che riguarda i sinti giostrai, è stata del tutto ignorata».
Negativo anche il giudizio di Carlo Stasolla, presidente dell'Associazione 21 luglio: "Il Piano Rom della giunta precedente ha avuto alcuni parziali risultati. Se, però, si paragona il numero di beneficiari con le importanti risorse umane ed economiche impiegate si coglie un profondissimo squilibrio che rivela un sostanziale fallimento».
Paolo Ciani è critico su due aspetti fondamentali: «Il passaggio nelle case di molte famiglie sgomberate dai campi è stata una novità positiva, prima non c'erano alternative. Purtroppo, però, queste pratiche non hanno riguardato tutte le persone coinvolte e, soprattutto, non è cambiata la narrazione. La comunicazione sottostante ha continuato ad essere: "Vi abbiamo liberato dai rom", perpetuando e rafforzando i giudizi negativi che riguardano queste popolazioni. Quello che è mancato, inoltre, è stato l'accompagnamento sociale. Chiudere i campi è giusto e meritorio ma poi, però, bisogna prevedere forme di accompagnamento a seconda delle specifiche esigenze delle varie categorie di persone: disoccupati, disabili, anziani».
Cosa bisognerebbe fare? «Il lavoro è la priorità», dice Converso, «anche perché resta l'unico strumento per superare la devianza, in esponenziale aumento quantitativo e qualitativo. Per quanto riguarda l'Ufficio Speciale, riteniamo che non se ne possa fare a meno in quanto queste comunità, per il loro quasi totale analfabetismo, non sono in grado di autogestirsi. Ma occorre però renderlo accessibile a tutti i rom e sinti della città non soltanto ai rom jugoslavi dei campi autorizzati. La nostra proposta è quella di creare anche uno Sportello Speciale Casa, per evitare confusione e favoritismi, esterni all'assessorato di competenza, nella gestione delle case popolari. Sarebbe necessario supportare, inoltre, il nostro Sportello Carcere, che, da anni, non viene più finanziato dal Comune e che è un punto di riferimento per le famiglie dei detenuti rom».
«La strategia operativa dell'ex giunta non ha funzionato anche perché si fonda sull'idea che gli abitanti delle baraccopoli romane siano una sorta dí "disabili sociali" e che occorra, quindi, un Piano ad hoc, un Ufficio Speciale ad hoc, bandi di gara ad hoc, risorse economiche ad hoc», afferma Stasolla. «Oggi, sappiamo, invece, che le sole politiche efficaci sono quelle che prevedono il coinvolgimento diretto dei beneficiari, interventi complessi e multidimensionali e attenzione alla questione giovanile e di genere. La nostra proposta è quella di creare un Ufficio per la povertà abitativa estrema che si occupi di tutti quei cittadini che vivono in condizioni transitorie, precarie e marginali. L'Ufficio, coordinato dal Gabinetto del sindaco, potrebbe essere incardinato presso l'Assessorato alle politiche abitative e lavorare con gli altri uffici di competenza capitolina, sia centrali sia municipali. Occorre, poi, garantire la gestione della transizione delle famiglie dai campi alle case, lavorando insediamento per insediamento e promuovendo per ciascuno di essi, a partire da una mappatura dei bisogni e delle risorse degli abitanti, un'azione che coinvolga i diretti beneficiari, le parrocchie e le istituzioni, incoraggiando il dialogo e creando comunità. Superare i campi rom si può. Anzi, si deve! I tempi sono maturi e le condizioni, favorevoli. E non solo perché tra gli amministratori è nata una nuova consapevolezza ma anche e soprattutto perché tra i "figli dei campi", le giovani generazioni che da decenni vivono dentro questi ghetti, l'anelito a una cittadinanza piena è diventato la componente essenziale di un desiderio individuale e collettivo sul quale dobbiamo far leva per relegare al passato la vergognosa stagione dei campi rom romani».
«Mettere al centro dell'azione i bambini, che rappresentano la gran parte di queste popolazioni», è l'obiettivo di Ciani. «I dati sulla scolarizzazione sono sconfortanti. I bambini e i ragazzi si trovano in una condizione di evasione scolastica gravissima e sono i primi sui quali bisogna investire». Ma senza uffici dedicati, secondo il consigliere comunale. «La politica dei ghetti deve finire. È per questo che la nostra prima azione al Comune è stata l'abolizione dell'Ufficio Speciale, che era incardinato presso il gabinetto del sindaco e di cui abbiamo trasferito le funzioni all'Assessorato alle politiche sociali, cioè a un organismo che si occupa dei bisogni sociali e sanitari di tutti i cittadini, in modo egualitario. Il tema dei rom 
deve essere tolto da una dinamica di propaganda politica e affrontato nella sua complessità. Non si può pensare di risolverlo a colpi di slogan e di ruspe. Non si può fare demagogia sulla pelle dei più fragili.»


[ Marina Piccone ]