Un testimone credibile della Chiesa dei martiri

Un testimone credibile della Chiesa dei martiri

Libertà, pace e giustizia: ha dato pace ai credenti perseguitati dalle ideologie del Novecento risultando determinante per la fine della guerra fredda

Giovanni Paolo II è morto quindici anni fa. Molti ne ricordano i funerali, impressionanti per il numero di partecipanti, più di tre milioni, dopo le lunghissime file di persone per salutare il corpo del papa a San Pietro. Ai funerali c’erano i leader del mondo: erano rappresentati 172 Paesi e organizzazioni internazionali. Mancava la Cina, con cui Wojtyla non era riuscito a stabilire un contatto positivo. La mia generazione conserva tante immagini dei ventisette anni del suo pontificato. Per i più giovani, Giovanni Paolo II è un nome, cui si ricollegano forse alcune sequenze viste in televisione, come l’attentato nel 1981 o l’invettiva contro la mafia nel 1993 ad Agrigento. Ma chi fu Karol Wojtyla? Con il passare del tempo, possiamo capirne meglio la figura.
Fu un figlio della Polonia, che aveva conquistato da poco la libertà, dopo essere stata spartita più volte. Nacque nel 1920; suo padre era un ufficiale asburgico e poi polacco che, dopo la morte precoce della  moglie, divenne anche suo educatore. Ricordava nella natia Wadowice parecchi amici ebrei a scuola. Il mondo polacco di allora era piuttosto antisemita, ma non Wojtyla. Fin da giovane, anche per l’influsso del padre, fu amico degli ebrei. Tale rimase. Aveva meditato sulle parole di un grande poeta polacco, Mickiewicz: «Israele... nostro fratello maggiore». È quel che disse nel 1986, a Roma, primo Papa a entrare in una sinagoga, accolto dal rabbino capo Toaff, suo amico fino alla morte.
Wojtyla fu un cattolico polacco, devoto e credente fin da piccolo: figlio di un cattolicesimo fedele a Roma e di una Polonia, umiliata, rifugiatasi nella Chiesa. Ventenne, a Cracovia, fece l’esperienza dell’occupazione nazista che voleva distruggere la Polonia, come popolo e identità (oltre che sterminare gli ebrei). Durante la guerra, fu operaio e seminarista clandestino, sotto la guida del cardinale Adam Sapieha, arcivescovo di Cracovia. Negli ultimi anni della vita, spesso diceva che era compito suo e della sua generazione (che aveva vissuto la guerra) ricordare al mondo l’orrore di ogni conflitto. Nel 1938, moriva a Cracovia suor Faustina Kowalska, che aveva introdotto il messaggio della Divina Misericordia. Il giovane Wojtyla frequentava la chiesa del convento della suora e si sarebbe immerso nel suo messaggio sulla misericordia di Dio, che sola poteva salvare il mondo dall`orrore del conflitto.
Prete nel 1946, uscì dalla Polonia due anni per studiare a Roma, dove conobbe un mondo cristiano ben più grande. Ne
approfittò per viaggiare in Europa e conoscere la varietà della Chiesa. Incontrò pure Padre Pio. Incontri e viaggi restano la sua passione ma, dal 1948, è prete in una Polonia comunista, separata dall’Europa in un clima di guerra fredda. Nella cattolica Polonia la Chiesa è perseguitata, seppure i sovietici (che hanno il vero potere) sanno di non poter calpestare troppo il sentire del popolo. Il primate polacco, cardinale Stefan Wyszyríski, coraggiosa e abile guida della resistenza polacca a un regime di oppressione, era finito al confino. Il giovane Wojtyla agì, come prete, nello stretto spazio rimasto alla Chiesa; seguì i giovani, studiò e insegnò etica nell’Università cattolica di Lublino (unica rimasta aperta nell’Est comunista).
Nel 1958, a soli trentotto anni, fu nominato vescovo ausiliare di Cracovia, la diocesi dove restò fino all’elezione a Papa nel 1978. Dal 1962, gestì la diocesi fino alla nomina ad arcivescovo nel 1964. Fu un vescovo anomalo, anche per le autorità comuniste che avevano sperato invano di contrapporlo al cardinale Wyszynski: amico dei giovani e degli intellettuali, era vicino alla gente, visitava le parrocchie, le famiglie, i malati e i poveri. Una suora, che lo accompagnava nelle visite, notò un atteggiamento che si riscontrerà anche durante il pontificato: «Ogni persona era importante per lui». Dotato di una memoria formidabile, ricordava nomi e situazioni. Aveva una capacità, molto profonda, di amicizia e fedeltà ai rapporti. Lo sanno gli amici polacchi, invitati a Roma dopo il 1978, e i nuovi amici italiani e nel mondo.
Questo figlio del cattolicesimo polacco è stato un padre conciliare del Vaticano II, cui partecipò appassionatamente dal 1962 al 1965.
Il Concilio restò il riferimento decisivo per lui: «Sono convinto che ancora a lungo sarà dato alle nuove generazioni di attingere alle [sue] ricchezze», scrisse nel testamento, nel 2000. La sua elezione a Papa sorprese il mondo. Primo Pontefice non italiano dal 1523, s’impose subito con la sua personalità e il contatto diretto che era capace di stabilire con le folle e con le singole persone. La "simpatia", di cui era fortemente dotato nelle relazioni non era qualcosa di superficiale, ma una dimensione che spiegava tanto della sua azione come Papa.
È stato un lottatore che spaventò il mondo comunista, consapevole della pericolosità del suo messaggio di speranza. Senza accusare nessuno, Wojtyla ha sempre pensato che dietro l’attentato di Ali Agca nel 1981, in piazza San Pietro, ci fosse una volontà che risaliva al potere comunista. Con i suoi quattro viaggi in Polonia prima del 1989 e con il suo costante messaggio di speranza, appoggiò il movimento sindacale e politico di Solidarność che, con alterne vicende, mise in crisi il regime polacco: «Non siate schiavi!», gridò ai polacchi. Il cambiamento politico del 1989, duecento anni dopo la rivoluzione del 1789, capovolse il paradigma per cui una rivoluzione, per trasformare, dev’essere violenta.
È stato protagonista di una rivoluzione non violenta, convinto che il cristianesimo, senza ambizioni di potere, dovesse essere una forza sociale di mutamento. Per questo, era certo che la Chiesa si dovesse risvegliare dal timore di urtare lo spirito del tempo con l’audacia della profezia del Vangelo. Considerato progressista dai tradizionalisti, fu un conservatore per i progressisti cattolici. Non condivise la Teologia della liberazione perché temeva la vicinanza al marxismo. Anche se, in Polonia, la sua Chiesa condusse il popolo alla liberazione. Per lui, che non era liberista ma credeva in un’economia sociale, il marxismo, come sistema politico ed economico, rappresentava una realtà inequivocabilmente oppressiva.
L`uomo «è la via della Chiesa», scrisse nella sua prima enciclica. Incontrare le donne e gli uomini è stata la passione di ventisette anni di pontificato. Con lui, il viaggio pontificio diventa un momento decisivo dell`esercizio del ministero del Papa: ne fece 104, recandosi in 129 nazioni del mondo oltre all’Italia. Si dedicò con un impegno particolare ai Paesi del Sud del mondo. Visitò l’Africa e fu presente più volte in America latina.
Difficili furono i rapporti con il Patriarcato ortodosso di Mosca, mentre stabilì buone relazioni con il Patriarcato di Costantinopoli, tanto che Bartolomeo e altri leader ortodossi parteciparono ai suoi funerali. Nel 1986 convocò ad Assisi i leader delle religioni mondiali a pregare per la pace gli uni accanto agli altri, non più - come disse - gli uni contro gli altri. Fu l’inizio dello "spirito di Assisi" che, a suo avviso, doveva orientare le religioni, che rischiano di sacralizzare la guerra in un periodo di rinascenti fondamentalismi.
È impossibile ripercorrere un lungo pontificato, carico di speranza messianica, che vuole forzare i muri e le distanze consolidate. La sua speranza si nutre nella sua fede rocciosa, che si manifesta nella preghiera. Chi lo ha visto pregare ha avuto la sensazione di trovarsi innanzi a un mistico. Il Papa dedica tempo anche all’intercessione per chiunque gli chiede di pregare per persone e situazioni. Gli ultimi anni, specie dopo il Grande Giubileo sono segnati da una grave malattia, cui resiste continuando il suo ministero. Considera anche la sua storia di dolore come parte integrante della sua testimonianza. È stato definito in molti modi. Bergoglio, che l`ha canonizzato, l`ha chiamato "Papa del la famiglia", perché ha dedicato tanta attenzione alla famiglia e alla vita lottando contro l`aborto. Per altri è stato il "Papa dei giovani", l’inventore delle Giornate mondiali della gioventù in tante città al mondo. Non è possibile racchiudere la sua figura così poliedrica in un’immagine o una definizione. Se dovessi però ricordarlo, lo farei come un testimone di una Chiesa di martiri. Cosi egli ha sentito la Chiesa del Novecento, che pure ha compiuto i suoi errori, ma è passata attraverso grandi persecuzioni, simili a quelle dei primi secoli. Nel maggio del 2000, ricordando i nuovi martiri del XX secolo al Colosseo, disse: «Resti viva, nel secolo e nel millennio appena avviati, la memoria di questi nostri fratelli e sorelle. Anzi, cresca! Sia trasmessa di generazione in generazione, perché da essa germini un profondo rinnovamento cristiano!».

 


[ Andrea Riccardi ]