«L'unica strada è il ricongiungimento familiare»

L'intervista. Impagliazzo della Comunità di Sant'Egidio: «Ma è sbagliato ridistribuire chi arriva in base al Pil, se manca il lavoro»
Accordi bilaterali con gli Stati per limitare partenze e concedere visti

Interessi contrapposti, stesso risultato, tutto da rifare, e adesso, chiuso il vertice di Lussemburgo, un'intesa europea sulla ridistribuzione dei richiedenti asilo sembra ancor più lontana. Soluzioni? Per Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant'Egidio, «bisogna insistere sulla strada del dialogo tra Cancellerie, evitando il contrasto a oltranza. Beninteso, l'Italia ha fatto bene a bocciare la bozza di riforma delle regole di Dublino presentata da Sofia, perché quella proposta induriva ancor di più l'accordo siglato nel 2013, ma ora deve subito rilanciare, come si fa in ogni trattativa».
Puntando dove?
«Verso un altro testo di riforma: quello approvato dalla Commissione delle Libertà civili del Parlamento Ue. Se venisse accettato dall'Esecutivo europeo, il primo Paese di arrivo dei migranti non sarebbe più automaticamente responsabile per i richiedenti asilo, che verrebbero ridistribuiti tra gli Stati membri in base al criterio del ricongiungimento familiare o dei legami linguistici e culturali. È una bozza vantaggiosa, sia per l'Italia sia per le persone che sbarcano sulle nostre coste, visto che la maggior parte di loro vuole raggiungere altri Paesi. Ue».

Ma il ricongiungimento familiare non esiste già?
«Sì, ma è previsto solo per il coniuge o
per il figlio minorenne. Bisognerebbe allargare le maglie, anche per una questione sociale: il ricongiungimento è la prima, grande porta verso l'integrazione, perché la famiglia che accoglie il migrante vive in Europa da tempo ed è dunque inserita nelle sue regole e nel suo tessuto culturale».
Anche il sistema del ricollocamento, sulla carta, è attivo da tempo. A che punto siamo su questo fronte?
«Così come è impostato il meccanismo funziona malissimo, e adesso è stato anche stoppato. L'Italia riesce a ricollocare un ristretto numero di persone, ma in base al regolamento di Dublino ne tornano indietro molte di più. Inoltre, nel criterio di ridistribuzione c'è un errore di fondo: le quote vengono calcolate in base al Pil di uno Stato, senza valutare un altro importante parametro come l'incidenza del lavoro, a tutto svantaggio del nostro Paese, più ricco rispetto ad altri ma con un alto tasso di disoccupazione».

Intanto, Salvini promette più espulsioni e pensa a un asse politico con Orban, mentre il Belgio chiede di tornare ai respingimenti in mare. Allora, dove sta andando l'Europa?
«Il senso dell'accoglienza, risvegliato tre anni fa, quando alcune Cancellerie Ue si accorsero all'improvviso della guerra in Siria, si sta gradualmente addormentando. Ci siamo dati regole
sbagliate, abbiamo ristretto le vie d'ingresso legali e oggi dobbiamo fronteggiare un largo fenomeno di irregolarità. Quanto ai respingimenti in mare o all'idea di un asse tra Roma e Budapest, capisco che riformare le convenzioni europee è una strada lenta e faticosa, ma ci sono delle leggi da rispettare e l'Italia non ha nulla a che vedere con l'Ungheria di Orban, sia per tradizione culturale sia per ragioni morfologiche. Cosa dovremmo fare, alzare dei muri in Sicilia?».
C'è una ricetta giusta per contenere il flusso migratorio illegale, prima che cambino le regole Ue? Insistere con il piano messo in campo da Minniti? Ed è possibile coniugare sicurezza e accoglienza?
«Non possiamo limitarci a fare un accordo con Tripoli per tenere i migranti nei campi profughi della Libia in condizioni disumane. Si deve insistere sugli accordi bilaterali con i Paesi di provenienza, accettando un certo numero di visti per lavoro e chiedendo loro di limitare le partenze. Quanto al tema sicurezza, anche se nell'ultima campagna elettorale qualcuno ha soffiato sulle paure della gente, in Italia non c'è un problema legato ai migranti. Semmai, come ha ricordato Papa Francesco, bisogna coniugare accoglienza e integrazione, e attrezzarsi a un cambiamento culturale, per vedere i migranti non come un pericolo ma come opportunità».



[ Andrea D'Orazio ]