Corridoi umanitari, arrivata la prima famiglia

Solidarietà. L'iniziativa, unica in Europa, è promossa dalla Comunità di Sant'Egidio insieme a Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e Tavola valdese con i ministeri degli Esteri e dell'Interno

Chi non ha pensato di fronte alla straziante immagine del corpicino di Aylan sulla battigia dell'isola di Kos: basta, andiamoli a prendere noi, andiamogli incontro? Pensieri nostri, balenati fugacemente al di qua del mare amico, ma terribile, quando lo attraversi in cento su un gommone.
Pensieri diventati azione grazie a chi, da decenni, si occupa degli ultimi vicini e lontani, grazie a quella Comunità di Sant'Egidio che, detto fatto, ha dato il via ai corridoi umanitari di cui molto si è parlato.
Sono arrivati in Italia, in questo mese, i primi profughi siriani in arrivo dal Libano, una famigliola che il mare non avrebbe potuto reggere senza soccombere: padre, madre, figliolino e soprattutto figlia, sette anni, con un occhio già perduto per un tumore e le cure da proseguire, al Bambin Gesù di Roma.
Un corridoio: da Beirut a Fiumicino, senza passare dal mare, senza rischiare di aumentare quel numero inciso nella carne di tutti noi, 3 mila e rotti adulti e 700 bambini, che corridoi per scappare da fame terrore e guerra non hanno avuto. E non ce l'hanno fatta.
Da Homs sono arrivati mamma Yasmine, la piccola Falak, e papà e fratellino, con un visto umanitario valido solo per l'Italia. E saranno i primi di mille che nell'anno arriveranno da Libano e Marocco, e l'anno prossimo anche da Etiopia. Saranno persone e famiglie di nazionalità diverse: siriani, e dall'Africa subsahariana e occidentale.
«I rifugiati non possono altro che fuggire», scriveva per «Famiglia Cristiana» il fondatore della Comunità di Sant'Egidio, Andrea Riccardi, e delineava l'accordo sui corridoi umanitari firmato nello scorso mese di dicembre dai ministeri degli Esteri e dell'Interno italiani, dalla Comunità di Sant'Egidio, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia e dalla Tavola valdese.
«Lo scopo è evitare le morti in mare», dice Riccardi. I corridoi umanitari, auspicati anche dal segretario delle Nazioni Unite Ban ki-Moon lo scorso anno, hanno solide basi giuridiche, anche secondo un regolamento europeo (810 del 2009), in cui si prevede il rilascio di visti con validità territoriale limitata «eccezionalmente per motivi umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi internazionali».
Norma per lo più inapplicata: da qui il lavoro di Chiese evangeliche e Sant'Egidio per iniziare a colmare il silenzio europeo, con un lavoro ecumenico che abbatte muri e apre varchi inediti.
L'accordo con il ministero degli Esteri e dell'Interno è stato frutto di un lungo lavoro di trattativa, per la quale gli evangelici italiani e Sant'Egidio individueranno i rifugiati e si impegneranno per l'integrazione e il sostegno economico delle persone giunte in Italia, con i propri fondi e con 1'8 per mille della Tavola valdese.
A Rabat, presso l'ambasciata italiana e l'Unhcr, Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, e a Tangeri, dove affluiscono i migranti sub sahariani, ci si attiva per il rilascio dei visti, lavorando con la Chiesa evangelica del Marocco o la diocesi di Tangeri. Dopo il visto, l'imbarco su volo regolare, con il sostegno finanziario del progetto. Una goccia nel mare, dice chi lavora per questo, ma la speranza è quella di sperimentare e attivare una procedura che per contagio diventi diffusa anche in altri Stati: andare incontro e non aspettare che i trafficanti con le carrette del mare ci precedano con organizzazioni di morte.
In Italia, ad aprirsi, ancora, i centri d'accoglienza dello Sprar (Sistema di protezione richiedenti asilo e rifugiati), ma anche la Casa delle culture, gestita dalle Chiese evangeliche a Scicli, Ragusa, più altre possibilità, come le comunità Giovanni XXIII. Una rete allo sbocco del "corridoio" appena inaugurato, quella che ha incominciato ad attivarsi da Lampedusa in poi, una fitta rete fatta di associazioni, gruppi e famiglie pronti a garantire accoglienza sostentamento e inserimento: come spesso accade, in questa Italia che opera in silenzio accanto a coloro che urlano d'altro.


[ Daniela Ghia ]