Deuteronomio 30,10-14
Salmo 18 (19)
Colossesi 1,15-20
Luca 10,25-37
Cari fratelli e care sorelle,
questa Parola di Gesù ha segnato profondamente la nostra vita, anche quando eravamo più giovani. L’abbiamo meditata e ci ha aiutato a fermarci, a non fuggire, raccogliendo il disperato bisogno di vita di donne, uomini, bambini e anziani, in tanti modi straziati dal male e dai conflitti. Ci ha mostrato il volto di Gesù, che da Samaritano, veramente da straniero, si è fatto prossimo, per primo e da solo, all’uomo mezzo morto, depredato e bastonato dai briganti, sulla strada da Gerusalemme a Gerico.
Le Scritture non ci sono estranee, e come il dottore della Legge, possiamo interrogare oggi, il Maestro: “Che cosa debbo fare per ereditare la vita eterna”? È la domanda centrale e più importante per tutti noi. Più importante della nostra felicità personale, perché la vita eterna è manifestazione del Regno. È vita più forte della morte. È vita in Dio. È l’orizzonte verso il quale Dio vuole condurre l’umanità intera. Anche chi ascoltò Pietro e gli apostoli parlare dopo la Pentecoste, si chiesero turbati: “Che cosa dobbiamo fare fratelli?”.
In questo Vangelo è la risposta. Vangelo scandaloso e sempre nuovo perché ci chiede di vivere il comandamento antico, oggi e sempre, in maniera autentica in tutte le situazioni estreme, di fronte alle quali la stessa Legge Mosaica, proteggeva il sacerdote e il levita dal contagio. Per vivere il culto non avrebbero dovuto toccare il sangue. Per questo passarono oltre: videro, ma preservarono il loro diritto a entrare nel tempio, offrire sacrifici, spiegare la Scrittura…Cercarono di preservare la loro vita ordinaria?
Gesù dice invece qualcosa di straordinario: se il culto ti mette in contatto con Dio, ti introduce nel suo mondo, allora, in nome delle ferite dell’uomo mezzo morto, che Dio sente come sue, occorre toccare il sangue, fasciare le ferite, assumersi interamente le conseguenze del male che lo hanno lasciato agonizzante ai bordi della strada. Il contagio non ha mezze misure. Accettalo. La vita eterna, il Regno, non sono ordinari, sono straordinari. Si manifestano proprio dove decreti religiosi o diktat della cultura corrente, sanciscono che qualcuno deve morire e altri vivere. Che lungo la strada che scende dalla città della benedizione e della pace, verso Gerico (nel primo testamento era città maledetta che non si sarebbe dovuta ricostruire dopo la conquista da parte degli israeliti), qualcuno è drammaticamente destinato a restare sui bordi dell’esistenza, come fosse anch’egli maledetto, mentre altri devono a tutti i costi mantenere ciò che hanno e che sono, come se la Gerusalemme celeste fosse una replica di ciò che già sappiamo o viviamo.
Il samaritano è lo straniero che ci mostra la verità del comandamento centrale: “Amerai il Signore Dio con tutto il tuo cuore, con tutta la tua forza e con tutta la tua mente, e il prossimo tuo come te stesso”. Ma anche la vita eterna è straniera alla continuità che ci preserva dal contagio perché Dio si fa contagiare dal dolore.
Gesù lo assume addirittura sulla croce. La locanda, l’olio, le fasce, il denaro che il samaritano mette a disposizione per la piena guarigione del ferito, sino al suo ritorno, sono stranieri a ogni logica di preservazione di sé. Il Samaritano ama Dio più dello scriba, perché ama il ferito come e più di sé stesso.
Con il Samaritano, con Gesù, con i fratelli e le sorelle, siamo a lui prossimi sino alle conseguenze più estreme. “Fa questo e vivrai”, ora. Prendiamo sul serio le parole di Gesù. Non preserviamoci, ma preserviamo, speriamo, lottiamo, e gustiamo la vita vera, assaggio della vita eterna, mettendo in pratica la Parola. Il Regno e la salvezza si manifestino ora. Il Regno non è per i puri, ma per chi ne ha bisogno, per tutti i depredati, per tutti i feriti, per gli assetati e affamati di vita.
La compassione operosa e la fede rianimino il loro corpo e facciano vivere il nostro cuore e la nostra mente in Dio. Con i feriti conosciamo e amiamo Dio. Con Dio ci facciamo carico della loro salvezza che è premessa della nostra. Amen