SENZA DIMORA

"Quanti muoiono così, soli e abbandonati, mentre altri vanamente discutono?" Ricordando Modesta, Marco Impagliazzo chiama alla responsabilità: da gesti semplici di aiuto alla ricerca di soluzioni abitative per i più fragili

 

 

La morte di Modesta Valenti è avvenuta mentre chi le stava intorno discuteva sul da farsi. Se caricarla o meno sull’ambulanza, dove portarla, se era opportuno o meno. Insomma si discuteva, mentre lei soffriva. E soffriva tanto. Vorrei in questa occasione porre l’accento su questo aspetto della sua morte ingiusta: ci ricorda innanzi tutto quanti muoiono così, soli e abbandonati mentre gli altri vanamente discutono. Il nostro è un mondo pieno di liti e discussioni che si svolgono mentre alle persone che soffrono e stanno male non vengono dati né soccorso né risposte.
Si litiga su tutto, ma in realtà non poco ci si pone il problema di risolvere situazioni difficili: spesso l’obiettivo delle discussioni è scaricare la responsabilità su qualcun altro o qualcosa altro.

La mentalità prevalente è quella del vittimismo: io non c’entro, è colpa delle circostanze o del contesto. In verità questo modo riluttante di vivere e di pensare fa sì che non ci si prenda alcuna responsabilità. Chi si prese la responsabilità di aiutare Modesta? Nessuno e così lei morì. Questo è il punto: senza qualcuno che si prenda la responsabilità si muore.
È vero qui a Roma così come è vero in ogni città e in ogni paese. Nella nostra città si muore troppo perché con difficoltà si trova chi si prende la responsabilità di tentare una risposta o semplicemente di aiutare.
 
Quanta gente vive per strada mentre ci sono migliaia di case vuote e di stabili non utilizzati? È un problema che coinvolge tantissime le città del mondo, sia quello ricco che quello povero. Vi sono alcune città del mondo ricco - come San Francisco - nelle quali quartieri centrali sono diventati delle vere tendopoli di persone senza tetto.
Molto spesso le autorità pubbliche cercano di nascondere una realtà che cresce ovunque: la casa è sempre più cara e si allarga il divario tra chi può permettersela e chi non ha i mezzi. Un problema enorme diventato un’emergenza globale anche secondo le nazioni Unite. La ricerca di soluzioni sembra quasi impossibile.
 
Ma ancora prima di questo, esiste il tema dell’esigenza semplice di aiutare. Chi sta qui oggi sa cosa significa dare una coperta, offrire un pasto caldo o almeno un panino a chi è senza tetto.
Bisognerebbe essere ancora più numerosi perché il disagio aumenta così come la povertà. I fatti di cronaca sulle morti per strada di chi è senza dimora sono una triste costante per Roma. Ci si commuove poco davanti a questa umanità dolente che pure vive all’angolo delle nostre case. Se ciascuno facesse lo sforzo di dare una mano, sarebbero di meno.

Siamo convinti, dopo anni di esperienza accanto a chi vive per strada, che non è vero che l’elemosina o l’aiuto individuale aumentano la povertà o la stabilizzano in qualche modo. Si tratta di una tipica fake news a cui si vuole credere per non prendersi responsabilità. Chi vive per strada non lo fa per sua scelta o per approfittarsi della generosità degli altri. Certo quando si sta per strada da anni è poi difficile tornare ad avere un tetto sulla testa.
Ci sono anche tanti disagi mentali come conseguenza di una vita così dura. Ma aiutare i senza fissa dimora è una forma di responsabilità umana e sociale di chi si prende cura della propria città e del proprio quartiere.

Delle soluzioni anche temporanee possono essere immaginate dai cittadini stessi, prima ancora che le autorità se ne occupino. Anzi: è proprio la presa in carico dei cittadini che può smuovere le autorità, anche se spesso si pensa il contrario. È quello che abbiamo cercato di fare con il programma di housing sociale che la Comunità ha sviluppato in questi ultimi anni a Roma. Centinaia di persone che vivevano per strada oggi hanno una casa, che magari condividono con altre persone. E dalla casa la vita rinasce in tutti i suoi aspetti.

Si dovrebbe smettere di discutere e litigare per provare ad avere uno spirito di immaginazione generoso che trovi soluzioni e offra aiuto laddove serve. In fondo non è difficile: dal portare una coperta contro il freddo ad offrire da mangiare a procurare quelle forme di aiuto di cui ognuno è capace. Molti a Roma già lo fanno ma tale movimento di solidarietà deve crescere perché crea un tessuto solidale che poi avvantaggia tutti. Una città fredda e ostile contro i poveri lo diventa per tutti. Partire dai poveri significa arrivare a tutti: una città che diventa più generosa e attenta si trasforma in una comunità più vivibile, simpatica e umana per tutti.

È come se Modesta ci lanciasse un appello: invece di discutere e litigare, aiutateci per aiutarvi.
Infine vorrei ricordare che le storie di chi vive per strada non sono tanto speciali: sono molto simili a quelle della vita ordinaria e potremmo dire anche alle nostre. Ciò significa che basta poco – una malattia, un abbandono, una perdita, un licenziamento, un colpo di sfortuna - per fare precipitare una vita per strada e renderla invisibile nella solitudine e nell’abbandono. Non dobbiamo aver paura di chi sta a terra magari all’angolo della nostra via: semmai sono queste persone a dover temere l’insensibilità generale che spesso si trasforma in ostilità. Ascoltare quelle storie, dare un nome alle persone, sono i primi gesti di umanità che fanno giustizia perché rimettono alla pari: un piccolo gesto generoso e attento vale molto di più di mille discussioni e ha conseguenze buone per tutta la città.