"Siamo un popolo di poveri e di umili, di vecchi e di giovani, di fratelli più piccoli e di fratelli che si fanno piccoli, così diventano tutti grandi". L'omelia del card. Matteo Zuppi

 

 

Omelia di S.Em. card. Matteo Zuppi alla liturgia eucaristica in occasione del 55° anniversario della Comunità di Sant’Egidio
San Giovanni in Laterano, 9 febbraio 2023

L’eucarestia è sempre ringraziamento, il più completo perché ci unisce con il Signore e tra noi, riveste le nostre povere persone della luce dell’amore pieno di Dio, della sua presenza nell’incertezza e nella confusione della vita. Oggi sentiamo tutti, sia personalmente sia come comunità la gioia di ringraziare per l’amicizia che ci unisce, per questi anni di amore, legame gratuito e circolare. Ne godiamo davvero tutti, quelli della prima come quelli dell’ultima ora, anticipo della casa di quel padre che vuole “tutto ciò è mio è tuo”. Un caro amico della Comunità, Valdo Vinay, che condivise negli anni della sua vecchiaia il cammino dei nostri inizi, fece sua l’espressione di un giovane: “Qui l’amicizia non finisce mai”. Lo diceva anche per sé e credo che possiamo dirlo ognuno di noi. Non è finita, anzi, si è rafforzata, affrontando da sempre tante pandemie di povertà e sofferenza. La Comunità si è sempre fatta vicina alle ferite che segnano le persone, i poveri. Iniziò alle baracche del Cinodromo, il primo servizio della Comunità, non smettendo di cercare i tanti e spesso enormi Cinodromo delle città degli uomini, ovunque. Quante sofferenze, quante lacrime! Il grido di pace di interi popoli ha trovato in questa Arca di Noè ascolto, protezione, compagnia, casa, luce, calore. Non ha mai smesso di cercare una soluzione, ben diversa da compiaciute e facili dichiarazioni e commozioni digitali e da spettacolo. Sant’Egidio, consapevole che la soluzione non dipende mai solo dalla nostra decisione e sforzo, non ha smesso di cercarla con tutto sé stessa. Gli occhi brillano di luce perché asciugo le lacrime di chi soffre, diceva Madre Teresa. La comunità brilla di amore, perché ha pianto con chi è nel pianto, ma ha anche sentito la consolazione dei tanti sorrisi restituiti, anticipo della beatitudine di Gesù che non finirà. La misura non è mai stata quello che si poteva fare, ma quello che serve fare. A volte sperimentiamo, con amarezza quando i ritardi sono colpa degli uomini, la nostra fragilità e limite, ma senza rinunciare a cercare le risposte. È successo così con i corridoi umanitari, che hanno aperto il muro impenetrabile del “non c’è niente da fare”, “si può solo aspettare”. Migliaia di persone che lo aspettavano hanno avuto futuro. Poche? Chi salva un uomo - un uomo - salva il mondo intero, perché ogni persona è un mondo, unico e insostituibile. Ricordiamoci sempre e per tutti che chi perde un uomo, perde un mondo intero. Questi anni ci confermano che è sempre possibile amare la vita, difenderla, cambiare questo mondo perché la fraternità sia reale, che tutti possono farlo e farlo riempie di felicità, libera dalla tristezza o da un amore ridotto a adrenalina. La voce persuasiva del falso realismo ripete continuamente di lasciare perdere, di pensare che non vale la pena, rende vane energie e sciupa tanti mezzi e possibilità. Tanti. E speriamo che in questo tempo di piani per il futuro sappiamo costruire qualcosa che resta solo se va oltre di noi. La bellezza di questa celebrazione, allora, che raduna non solo i così numerosi presenti ma anche le tante comunità sparse nel mondo, dai piccoli e sperduti villaggi nel Nord del Mozambico o del Congo, segnati dalla violenza alle tante comunità in Ucraina e in Russia che nella tempesta della guerra non hanno smesso di aiutare i più deboli, come rassicurare e sfamare gli anziani soli, chi vive per strada o i bambini delle scuole della pace. Preghiamo per tutti i nostri fratelli e sorelle che sono in situazioni difficili, di rischio o di minoranza. Li ringraziamo per l’esempio di umanità che offrono nelle loro situazioni mostrando la vita cristiana e lo spirito della Comunità. Continuiamo tutti a accendere luci di speranza e a mostrare un mondo migliore quando intorno c’è il buio della violenza, della guerra, ma anche quello della solitudine e dell’insignificanza. Scegliamo tutti di essere operatori di pace, di conservare un cuore umano di agnello anche quando il mondo diventa lupo, crede solo nelle armi e non sa più trovare umanità. Gettiamo semi di un mondo diverso, per iniziare già oggi nel dove siamo il cessate il fuoco, disarmando le mani e le menti e riempiendole di sentimenti e legami di amore. La guerra spegne anche i sogni e gli slanci. Le comunità di sant’Egidio li riaccende, li difende, germoglio di pace che continua a fiorire, anticipo della pace che può fare fiorire la vita. Sant’Egidio tutto è un popolo di operai di pace, perché avvicina i cuori, combatte le barriere, abbatte i muri, costruisce luoghi dove Fratelli tutti non è solo una visione grande ma la realtà di comportamenti e parole. E ringrazio di cuore gli sforzi intelligenti e pazienti per tessere la pace, come quelli in Sud Sudan, a volte tanto lunghi, potremmo dire interminabili come lo sono le guerre! Aveva ragione San Giovanni Paolo II, parlando alla comunità: non vi siete posti altri limiti se non la carità. E la carità è infaticabile non perché non prova stanchezza, ma la vince per l’amore stesso. E ringraziamo Andrea che non smette di lottare con inquietudine e intelligenza contro le tenebre del male. Continua a sognare di cambiare il mondo, perché ascolta Dio e la sua passione per le messi. Ha visto il giardino anche quando c’era solo il deserto. Grazie Andrea. Cristo è pace perché ha abbattuto il vero muro di separazione che divide e genera la guerra cioè l'inimicizia. Sant’Egidio è diventata una famiglia universale, davvero senza confini, che come una madre non dimentica nessuno. E ringrazio di cuore chi si affanna perché questa madre mostri la sua maternità ovunque, ad iniziare da Marco e da tutta la presidenza della Comunità: ricordiamoci sempre di pregare per ogni comunità e anche per chi la serve nella comunione e nell’unità. Siete un popolo di poveri e di umili, di vecchi e giovani, di fratelli più piccoli e fratelli che si fanno piccoli e così diventano tutti grandi. Siete operai che possono sempre, ed è una grazia, lavorare per il Signore e quindi per il prossimo. Papa Benedetto, con tanta delicatezza e profonda comprensione umana, disse al termine del pranzo alla mensa di via Dandolo che nella Comunità non si distingue chi serve e chi è servito, felicità per l’uno e per l’altro. È un noi aperto e preciso allo stesso tempo, accogliente e mai anonimo, perché il noi non solo non cancella l’io, non lo limita ma anzi scioglie dall’egoismo e dal pensare di essere sé stesso perché isola, non lo deprime anzi lo esalta, perché lo rende utile. (Si è utili per davvero quando si è gratuiti, senza considerazione o meriti!). Siamo sulla stessa barca, con radicalità, senza compromessi, cercando sempre il bene possibile ma senza dimenticare di credere nell’impossibile, perché la messe è davvero grande e la sofferenza che la attraversa è terribile, fa soffrire. Quando sentiamo questa siamo spinti a coinvolgere altri operai, che se diventano oziosi è perché nessuno li ha presi a giornata non perché non vogliono lavorare. E la gioia è lavorare per amore. È la Parola di Dio che continua a chiamare e a mandare che ha custodito la Comunità, perché non smette di renderci sensibili a nuovi aspetti di povertà e anche a capire in modo nuovo e più profondo i vecchi. È la parola che permette di vivere ogni incontro come anticipo di quello che ritroveremo pieno in cielo.  La comunità è sempre piccola – siamo sempre il piccolo gregge – minoranza che non smette di generare vita ma è già oggi un popolo largo. Il passare del tempo non ha fatto crescere il sottile scetticismo o meccanismi sclerotizzati. Ecco la benedizione e la preghiera di questa sera, come quella che per tanto tempo ha accompagnato le preghiere della sera:  Signore nostro Dio, che nella confusione e nella solitudine di questo mondo non cessi di radunare con la tua Parola un popolo santo, da ogni terra, città, paese, perché nella carità renda a te un culto gradito, custodisci il gregge che hai radunato, conservalo nel tuo amore, ora e sempre, nei secoli dei secoli. Amen.