Abbiamo bisogno di inciampare per non rifugiarci nelle rappresentazioni o nelle falsificazioni della realtà e della storia, anche per non rassegnarci, per immaginare un'alternativa alla violenza, al sopruso, alla madre di tutte le povertà che è la guerra. La memoria della deportazione degli Ebrei fiorentini, avviata il 6 novembre del 1943 e condotta fino ad Auschwitz, è irrinunciabile per quanti, su iniziativa della Comunità di Sant'Egidio, dal 2013 ogni anno la ricordano. Quest'anno, finalmente, è tornato il corteo dal centro fino alla sinagoga, con i rappresentanti della Comunità Islamica, de Buddisti della Sika Gakkai, delle Chiese evangeliche e delle realtà associative e movimenti come i Focolari. Tutti sono stati accolti da Rav Gadi Piperno e dai rappresentanti della Comunità Ebraica.
Questa memoria, questo momento di cammino comune a cui "siamo fedeli dal 2013", è come una pietra d'inciampo, in cui sono scritti tutti i nomi riportati sulla grande lastra di marmo nel piazzale della sinagoga. Quanti hanno sul volto quei nomi "hanno camminato con noi, li sentiamo vicini - è stato detto - grazie a quel filo d'oro che è l'affetto, la promessa di non dimenticarci gli uni degli altri, per le strade misteriose e vere che solo Dio conosce". Sono le stesse strade che "ci hanno fatti sentire vicini agli anziani e a quanti non potevano uscire durante la pandemia, perché isolati. Sono le stesse su cui, camminando insieme, siamo raggiunti dal 'Grido della pace', come abbiamo detto alcuni giorni fa alla preghiera per la pace a Roma"; è il grido "di chi non è accolto, dei bambini in fondo al mare o morti di freddo a Pasukoy nel febbraio scorso; è il grido di chi soccombe in ogni guerra e in questa guerra che si manifesta come un incubo nel cuore dell'Europa".
Per l'imam Izzedin Elzir "non bisogna essere ostaggio della storia, ma dobbiamo imparare a non sbagliare". Tante tragedie nascono dal coltivare una particolare, voluta, "assenza". Rav Gadi Piperno ha sottolineato a riguardo: "Attenti all'assenza del timore di Dio, perché è lì che si arriva a negare la verità e quindi a conseguenze estreme".
Degli Ebrei deportati da Firenze nei lager dal 6 novembre del '43 in poi, solo 15 tornarono indietro: otto donne e sette uomini. Nessuno dei bambini fece ritorno.
Svitlana, ucraina che studia alla Scuola di italiano di Sant'Egidio ha ricordato la strage degli Ebrei di Babi Yar, luogo non lontano dalla sua città Melitupol, travolta dalla guerra, e dalla centrale nucleare di Zaporizhia: se dovesse succedere qualcosa alla centrale, ha spiegato Svitlana, "sarebbe la fine per tutti, è un incubo che incombe. Non dobbiamo pensare che quello che accade non mi riguarda, come forse avevano pensato tante persone mentre portavano via gli ebrei da Firenze". Ma altri, anche allora, anche a rischio della propria vita, svilupparono con immaginazione e affetto un'alternativa alla violenza, accogliendo, dando rifugio, proteggendo, mettendosi insieme ad altri, in una parola: salvando.