Il 3 agosto a Budapest si è tenuta una preghiera ecumenica e interreligiosa nella Chiesa di Santa Teresa D’Avila, organizzata dalla Comunità di Sant’Egidio per fare memoria del Porrajimos — lo sterminio di rom e sinti durante la Seconda guerra mondiale — e delle serie di attentati contro l’etnia dei rom in Ungheria nel 2008-2009.
La preghiera è stata presieduta dal mons. János Székely con la presenza di Tamás Fabiny, vescovo luterano, Szabina Sztojka, pastore protestante della missione presbiteriano scozzese e altri amici sacerdoti.
Alla memoria delle vittime del genocidio di rom e sinti si è aggiunta quella delle vittime degli attentati in Ungheria che nel 2008-2009 hanno portato alla morte di sei persone e di numerosi feriti, tutti di etnia rom. A Kisléta la notte dello stesso giorno del porrajimos, tra il 2 e il 3 agosto nel 2009, veniva uccisa Mária Balogh e ferita sua figlia allora tredicenne. Alla preghiera erano presenti anche i familiari delle vittime.
Éva Fahidi, testimone oculare della strage dei rom avvenuta ad Auschwitz-Birkenau tra il 2 e 3 agosto 1944, ha ricordato quella terribile notte in cui iniziò la “liquidazione” del settore in cui erano confinati, lo Zigeunerlager. Ricorda le urla di tutte quelle persone consapevoli che sarebbero state presto uccise; tra loro molti erano bambini. Éva è una donna ebrea che dopo decenni dalla Shoah ha scritto un libro sulla sua famiglia e sulla sua sofferenza. Non smette di comunicare alle giovani generazioni l’orrore della guerra e della follia nazista perché non si ripeta. Dice sempre loro che devono accorgersi di ogni parola di esclusione, perché il disprezzo è stata la strada che ha portato ai forni crematori. Ha invitato i giovani ad ascoltare, protestare e reagire di fronte all’esclusione.
Péter Szőke, della Comunità di Sant’Egidio di Budapest ha ricordato le parole di papa Francesco pronunciate in una piazza San Pietro vuota, che indicano la via della fraternità anche e soprattutto in tempo di pandemia.
Il vescovo Székely ha ripercorso la storia dei rom in Ungheria, la loro presenza da più di 600 anni nella regione e l’iniziale convivenza pacifica nei primi tre secoli, prima dell’inizio delle persecuzioni di cui sono stati vittime. Il vescovo ha ricordato l’importanza di essere persone della comunione e non della divisione, e di imparare a vedere ogni essere umano con gli occhi di Dio.