«Il mare può unire o può dividere; può essere segno di speranza, fratellanza e incontro, oppure essere segno di morte e chiusura. Dipende da noi, discepoli della vita, farlo diventare luogo in cui incontrare Cristo nel volto dei fratelli sofferenti». Così monsignor Riccardo Mensuali della Comunità di Sant'Egidio di Roma ha introdotto la veglia di preghiera "Morire di speranza", per i migranti vittime dei viaggi verso l'Europa, che l'organizzazione ecclesiale ha promosso in collaborazione con la Diocesi di Civitavecchia-Tarquinia, le Chiese Evangeliche Battiste e la Chiesa Ortodossa Rumena. Ad ospitare la celebrazione molto partecipata, è stata la parrocchia dei Martiri Giapponesi di Civitavecchia. Presenti anche il sindaco della città Antonio Cozzolino, le delegazioni della Guardia Costiera e della Polizia di Stato, molti esponenti del mondo del volontariato. Tra i banchi anche tanti cittadini immigrati che stabilmente vivono nel territorio della diocesi e una delegazione di rifugiati che sono venuti recentemente in Italia dalla Siria e dall'Eritrea nel contesto del progetto dei corridoi umanitari ospiti della comunità di Trastevere.
«Le migrazioni - ha ricordato monsignor Mensuali, che ha presieduto la preghiera - sono un fenomeno antico e complesso, per il quale non ci sono soluzioni semplici. Per questo ci affidiamo al Signore, perché sappia illuminarci e guidare le nostre scelte. C'è una percezione falsa di questo aspetto un clima da invasione che alimenta le paure. Vogliamo chiedere al Signore che tocchi i cuori di ognuno e ci aiuti ad avere uno sguardo da discepoli della vita».
La celebrazione si è aperta con l'ingresso in chiesa della Croce di Lampedusa, realizzata con il legno delle barche dei naufraghi, e la lettura di alcuni dei 2.753 migranti morti viaggiando verso i confini europei nel corso dell'ultimo anno.
Al termine della preghiera si è svolta la processione verso la Lega Navale dove, a bordo di alcune imbarcazioni, i celebranti di tutte le Chiese hanno pregato e deposto in mare una corona di fiori.
Anu, un venticinquenne proveniente dal Mali, ha portato la sua testimonianza: arrivato nel 2014 a bordo di un gommone, dopo aver attraversato a piedi il deserto e subito violenza nelle carceri libiche, è stato accolto a Roma. Qui, nella Comunità di Sant'Egidio, ha prima partecipato alla scuola di italiano e successivamente svolto l'esperienza del servizio civile; ora lavora con un regolare contratto in un'azienda. «L'integrazione - ha detto il giovane - dipende molto dalla conoscenza della lingua. Da quando parlo italiano racconto la mia storia affinché tutti possano comprendere le cause delle migrazioni».