Una terra che ha sempre amato la pace e la democrazia

Intervista a Gianni La Bella autore di un saggio storico sulla Colombia

Una realtà «complessa», segnata da un conflitto lungo oltre cinquant'anni in una terra che di fatto però «ha sempre amato la democrazia». Gianni La Bella, docente di Storia contemporanea all'università di Modena e Reggio Emilia, descrive così il Paese a cui ha dedicato il libro Colombia. Biografia di una nazione dall'indipendenza a oggi (Bologna, Società editrice il Mulino, 2024, pagine 259, euro 19), presentato la scorsa settimana a Roma in occasione del lancio della nuova collana "Americhe" della stessa casa editrice.

Ad incidere sulla storia della Colombia, fa notare subito, un «fattore geografico» che contraddistingue da una parte lo sviluppo agrario, dall’altra anche il movimento guerrigliero delle Forze armate rivoluzionarie della Colombia (Farc), che ha siglato l'accordo di pace del 2016 con Bogotà, come pure la guerriglia dell'Esercito di liberazione nazionale (Eln) e le organizzazioni criminali dedite al narcotraffico.
«Le radici del conflitto sono complesse. Da un lato per l'eterogeneità degli attori coinvolti, ma anche dei fenomeni socioeconomici e politici, che ne sono stati per certi versi la causa ma anche gli effetti. Alludo alla mancanza di una equa riforma agraria, che il Paese cerca da oltre 40 anni, dall'esclusione delle masse rurali e contadine dalla sfera pubblica, dall'assenza dei meccanismi di distribuzione della ricchezza e di giustizia sociale, dal forte potere economico-ideologico esercitato da quella ristretta classe elitaria che è nota come i terratenientes. Questo conflitto si è poi complicato con l'entrata in scena di altri attori. Penso ai vari movimenti guerriglieri, le Frac, l'Eln, il Movimento M-19 per citare solo i più noti, ma anche i paramilitari e le bande cosiddette del Golfo, che rappresentano i gruppi di criminalità "allo stato puro". Il fattore geografio ha inciso molto, perché in Colombia le Ande, che provengono dal Cile, si dividono in tre cordigliere, segmentando in territorio in una serie di zone autoreferenziali
Quale periodo ha evidenziato del conflitto in Colombia?
Al riguardo c'è un dibattito che da anni coinvolge numerosi studiosi. Sostanzialmente c'è una prima fase, dal 1958 all'82, in cui si passa da una violenza frutto dello scontro tra i due principali partiti, liberale e conservatore a una violenza generata dall’insurrezione sovversiva. Dopodiché si dipana un periodo in cui la violenza è anche frutto dello scontro con altri soggetti che entrano nel panorama colombiano, l’esercito, i paramilitari, le formazioni che fanno riferimento ai gruppi di criminalità. Da ultimi, ci sono due periodi, dal 1996 al 2005, in cui il conflitto si espande ed è caratterizzato dall’offensiva da parte dello Stato nel contrastare il narco- traffico. 
Che percorso è stato quello dal 2012 fino all’accordo di pace, che lei ha seguito per la Comunità di Sant’Egidio? 
La Comunità di Sant’Egidio ha letto in questo conflitto una delle tragedie del continente ancora aperte. Ha avuto una funzione di "incubatore di consenso", cioè si è sforzata di mantenere alta l’attenzione della comunità internazionale, incoraggiando sia le autorità sia le Farc a perseverare nel dialogo. 
Cosa ha significato per il Paese la visita di Papa Francesco nel 2017? 
A mio modo di vedere, Francesco affrontò con una visione innovativa le questioni chiave: le relazioni tra la storia e la memoria, il rapporto con la riconciliazione e l’impunità, il valore di una giustizia non solo retributiva ma anche riparativa e riabilitativa, la frontiera della misericordia e del perdono, come elementi costitutivi di un nuovo processo. Credo che la cifra finale di tutti i discorsi che il Papa fece si possa indicare nell’invito a vivere questa pace come l’inizio di una nuova indipendenza dal dolore, dal rancore e dalla vendetta. 
Lei ha esaminato le presidenze della Colombia fino all’elezione di Gustavo Petro, che è impegnato in quello che lo stesso Capo di Stato ha definito un progetto di "pace totale". Come vede l’attuale momento che sta vivendo il Paese? 
È un momento difficile. Il tavolo di negoziato aperto con l’Eln sembra essersi impantanato. Il processo con gli altri due gruppi guerriglieri, gli ex militanti delle Farc che non avevano aderito al processo di pace e coloro che invece sono ritornati ad una fase di movimento guerrigliero attivo, non hanno ancora deciso se aprire un tavolo negoziale. In più c’è un ritorno dei gruppi paramilitari. Si vive poi un momento di difficoltà anche economica e sociale. Ma la gente vuole la pace. È vero che non c’è colombiano che non abbia avuto nella sua famiglia un parente ucciso, ferito, sequestrato. E questo dolore si ripercuote di generazione in generazione. Ma c’è bisogno di trovare strade e linguaggi nuovi, che riconoscano le responsabilità di tutti e insieme traccino il cammino per una riconciliazione che metta le basi per la crescita di un nuovo Paese, cruciale per tutta l’America Latina.

[ Giada Aquilino ]