«Oggi scegliamo la pace e la vita»

«Oggi scegliamo la pace e la vita»

Oltre 400 persone alla tradizionale Marcia per la pace della Comunità di Sant'Egidio di domenica 1° gennaio: «Non dobbiamo rassegnarci alla paura e all'indifferenza»
«E` per i ragazzi, è per i bambini che oggi sono qui e per i tanti bambini di ogni parte del mondo che noi abbiamo bisogno che ogni giorno sia un giorno in cui compiamo un gesto di pace. Possiamo e dobbiamo avere molta speranza, perché la speranza non può essere mortificata dalla paura, ma può essere incoraggiata dalla realtà. E le voci che abbiamo ascoltato, i volti che abbiamo visto, sono la realtà». Così Daniela Sironi, referente regionale della Comunità di Sant'Egidio, nel suo intervento conclusivo della tradizionale marcia per la pace del 1° gennaio.
Un appuntamento che anche quest'anno, nonostante il freddo, ha portato oltre 400 novaresi a sfilare da piazza Cavour fino in Castello, tenendo alti i cartelli dei tanti paesi ancora devastati da guerre e conflitti. Un lungo corteo composto da persone di ogni età e nazionalità, accompagnato dalla musica della banda di Castelletto Ticino. Perché, ha detto Sironi, «nessuno è straniero per la pace. Essere qui oggi significa scegliere la vita e non la morte, la libertà e non la violenza. E ognuno lo può fare. Quello di oggi è un patto che stringiamo gli uni con gli altri: di non essere indifferenti di fronte alla guerra e alla violenza».
Quella guerra e quella violenza che spesso affollano i ricordi dei tanti giovani che arrivano nel nostro Paese alla ricerca di una vita migliore, ai quali Sant'Egidio ha voluto dedicare la marcia di quest'anno. Giovani come Yassine Benami, 21 anni, fuggito con la mamma a 13 anni dal Marocco verso la Libia, dove si è ritrovato «in mezzo alla guerra. Ho vissuto nascosto in casa di mia zia per sei mesi perché eravamo stranieri e clandestini, Mia mamma è dovuta ripartire e io mi sono trovato solo. Ho dovuto cercare lavoro, ma ero trattato come uno schiavo, rinchiuso e sotto la minaccia di uomini armati». Sfuggito due volte alla morte, Yassine ha alla fine raggiunto la Sicilia e poi Novara, dove ha conosciuto Sant'Egidio, ha trovato lavoro e ora conta di riprendere gli studi «per migliorare la mia vita».
Dall'Albania è arrivato, solo e giovanissimo «dopo aver lavorato sodo per mettere insieme i soldi per il viaggio», Bernardo Staga, che ha raccontato il suo riscatto. «Sono stato in dormitorio per un mese e 18 giorni, e poi finalmente portato alla comunità Educa mondo. È stata una svolta, avevo un letto, sono stato accolto e aiutato. Ho finito terza media e poi mi sono iscritto alla scuola di Sant'Egidio. Avevo voglia di fare volontariato per restituire quello che gli altri avevano fatto per me. Ora vivo in un appartamento messo a disposizione da Sant'Egidio, ho iniziato un corso di operatore grafico e posso pensare al mio futuro».
Anche Hammad Ali, dal Pakistan, ha trovato una nuova vita a Novara e ora - dopo aver preso il diploma di geometra spera «di diventare una persona di successo». Nel frattempo, svolge attività di volontariato con Sant'Egidio ed è diventato amico degli anziani ospiti della casa "Simeone e Anna". Ritorno alla vita (in tutti i sensi) anche per Svitlana Schevchenko, che a Novara - in fuga dalla guerra in Ucraina - ha avuto modo di sottoporsi ad un trapianto di rene all'ospedale "Maggiore".
Quindi, un pensiero anche a chi una vita nuova non l'ha trovata o non la potrà trovare più: alle vittime e a chi ancora vive nei tanti Paesi del mondo devastati dalle guerre. E, di nuovo, l'invito di Sironi alla speranza: «Non ci possiamo rassegnare ad essere vinti dalla paura e dall'angoscia di quello che succede. Perché la paura e l'angoscia ci fanno chiudere, creare barriere di protezione alla nostra vita. E invece dobbiamo uscire, essere insieme e uniti perché la pace è possibile e non solo se i grandi della terra lo decidono, ma se ognuno di noi fa un passo in quella direzione». 

[ Laura Cavalli ]