Andrea Riccardi a Sant'Ippolito sull'uomo e la guerra

Andrea Riccardi a Sant'Ippolito sull'uomo e la guerra

E’ stata per la parrocchia romana di Sant’Ippolito un’altra occasione di riflessione comunitaria nell’ambito del ciclo “Di che cosa sei capace, uomo?” promosso dal Gruppo Cultura: martedì 5 dicembre 2023, ospite Andrea Riccardi, si è potuto approfondire il tema della persistenza della guerra nella quotidianità mondiale.
Anche per questa terza serata del ciclo (dopo quelle caratterizzate dall’incontro con il cardinale Matteo Maria Zuppi e con l’arcivescovo Rino Fisichella) il cinema delle Provincie presentava una bella cornice di pubblico, con una consistente presenza giovanile parrocchiale e santegidina, oltre che di un gruppo di studenti del liceo Giulio Cesare.
Se a fine serata si fosse posta ai presenti la domanda: “Soddisfatto o rimborsato?” crediamo che nessuno avrebbe chiesto il rimborso. Perché oggettivamente di spunti validi su un tema così attuale e drammatico– forniti sia da Riccardi che dalle domande del pubblico – non ne sono certo mancati.
In sintesi tra i temi toccati nell’incontro sono emersi in particolare la riabilitazione della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti, la continuità da Benedetto XV in poi del magistero dei pontefici per la pace, una certa scarsa rilevanza oggi della Chiesa cattolica nel mondo, la necessità - in primo luogo per i cristiani - di una preghiera continua che si nutra anche di informazione e che miri a farsi ascoltare da un Dio che è padrone della storia. Contro l’indifferenza dilagante, frutto dell’impotenza percepita dell’agire.
La serata ha conosciuto due momenti principali. Dopo la preghiera e il benvenuto del parroco monsignor Manlio Asta, si è ascoltata la relazione introduttiva (una mezz’oretta) di Andrea Riccardi. Lo storico romano di lontane ascendenze ticinesi ha poi risposto ampiamente alle tante domande rivoltegli dal pubblico.
 
DALLA RELAZIONE INTRODUTTIVA
 
. Gli italiani hanno ormai dimenticato quasi del tutto che cosa sia stata la guerra. I testimoni diretti della Prima Guerra Mondiale sono scomparsi, quelli della Seconda Guerra Mondiale stanno diminuendo rapidamente. Il fatto è che i nostri vecchi sapevano che cos’era la guerra. La rifiutavano. La odiavano. Noi, che siamo nati dopo il 1945 ci siamo cullati a lungo in un sogno, quello di un’Europa che avesse ritrovato la pace. E non abbiamo imparato la lezione della II Guerra Mondiale. Poi, però, ci siamo dovuti risvegliare forzatamente dal sogno soprattutto con lo scoppio nel febbraio del 2022 della guerra in Ucraina, che ha avuto e ha un impatto molto forte anche sulla nostra quotidianità, a livello economico e sociale, oltre che sulla stabilità degli equilibri internazionali.
Certo il peso dell’ “aggressione russa” lo pagano in primo luogo i cinque milioni di  sfollati ucraini interni e gli oltre sei milioni di rifugiati all’estero su una popolazione di quaranta milioni di abitanti. Ma la paghiamo dolorosamente anche noi e tutto il resto del mondo globale.
Alla guerra in Ucraina si è poi aggiunta quella riacutizzatasi in dimensioni inaudite in Terrasanta, con l’ attacco “violento e disumano” di Hamas contro Israele. E non si può dimenticare quanto è accaduto nell’Artsack/Nagorno Karabakh, dove l’Azerbajian con forza brutale ha costretto all’esodo i 120mila armeni che vi risiedevano come da tradizione secolare. Neppure quanto è accaduto e sta accadendo in Sudan, dove sono ormai circa quattro milioni i bambini il cui futuro è a rischio.
. Siamo confrontati oggi con una riabilitazione della guerra come strumento di risoluzione dei conflitti. Inoltre le guerre tendono a ‘eternizzarsi’. Gli avvenimenti del 1989 avevano capovolto quelli del 1789: per i rivoluzionari francesi i conflitti si risolvevano con la violenza e dunque anche con la guerra, per i rivoluzionari dell’est europeo invece con la tenacia della non-violenza. Il 1989 aveva dimostrato che era possibile la rivoluzione pacifica: anche in questo caso abbiamo accolto questa verità con molta superficialità, dimenticandola in fretta.
In pochi anni la guerra è stata riabilitata nella coscienza collettiva secondo il modello del 1789, in specie dopo l’attacco del 2001 alle Torri Gemelle. Eppure ancora nel 2003 contro la prospettata seconda guerra dell’Iraq le piazze si erano mobilitate in dimensione non certo irrilevante. Oggi però si può constatare che molto di quell’impegno popolare, che traeva spunto anche dalle parole e dai gesti di mediazione di Giovanni Paolo II (uno dei protagonisti del crollo non violento dell’impero sovietico nel 1989), si è quasi dissolto. In questi mesi preoccupano i toni bellicisti di tanta parte del dibattito politico. Un clima inquietante che richiama gli anni pre-bellici del secolo scorso e che trova espressione da brividi nelle recenti memorie del principe Harry, quando – rievocando i suoi periodi militari in Afghanistan – rivela di aver ucciso dall’elicottero 25 nemici, considerati come “pedine degli scacchi”.
. Porsi il problema della pace in Ucraina non vuol dire essere putiniani come sostengono alcuni bellicisti. E’ sicuro che, quanto più la guerra prosegue, tanto più la pace si allontana. E, sul piano politico-militare, con il fallimento dell’offensiva ucraina e con la riduzione dello spazio di manovra da parte di un Biden che sente sul collo il fiato di Trump, Kiev rischia di perdere l’appoggio indispensabile degli Stati Uniti.
. Vengo dalla manifestazione di piazza del Popolo contro antisemitismo e razzismo promossa dalla Comunità ebraica di Roma e dall’Ucei. Bisogna capire come si sente oggi il mondo ebraico. Israele era considerato un approdo, un rifugio sicuro. Oggi, dopo l’attacco feroce di Hamas, non più. Fa male vedere sull’Isola Tiberina adesivi in cui la stella di David è associata alla svastica. Fa male anche perché quello era il luogo in cui spie e traditori indicavano ai tedeschi gli ebrei del Ghetto. Fa male ancora di più perché a San Bartolomeo all’isola furono accolti 400 ebrei, un’esperienza di amicizia ebraico-cristiana che la diocesi di Roma non ha saputo fin qui onorare adeguatamente.
. Papa Francesco è attaccato da ambo le parti per le posizioni assunte nel conflitto russo-ucraino e israelo-palestinese. Eppure la sua ‘neutralità’ apparente non è frutto di codardia, è invece fedeltà profonda alle prese di posizione dei suoi predecessori dell’ultimo secolo. Da Benedetto XV a Pio XII, da Giovanni XXIII a papa Wojtyla, perché “ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato” (vedi l’enciclica “Fratelli tutti”). E’ questa una convinzione che si nutre della grande esperienza della Santa Sede e del popolo di Dio maturata nei secoli.
. Davanti a quanto accade è diffusa sempre più una sensazione di impotenza. Purtroppo ciò corrisponde alla realtà, perché il gioco perverso è nelle mani di altri. Tuttavia è insopportabile la sensazione di impotenza, che genera la grande malattia del mondo globale che è l’indifferenza. Certo sappiamo tutto o quasi di tutti … ma sapere tanto e non potere agire, pesa.
. Dobbiamo comunque credere nella pace, un valore che è intimamente legato alla nostra fede: sappiamo che un giorno il Signore ce la donerà. Dobbiamo pregare per la pace. La nostra preghiera può modificare i disegni del Signore. Osservava Karl Barth che Dio non è sordo. La nostra preghiera può influenzarne i piani. Quello che conta è che Dio la ascolti così che la nostra preghiera riesca a cambiare la storia. Anche La Pira riteneva la preghiera forza motrice della storia. La preghiera per la pace si nutre di Vangelo e di informazione, rilevava Barth, forse rievocando un concetto hegeliano derivato dalla Riforma protestante. Bisogna anche essere informati sul mondo quando si prega per la pace. 
. La guerra, diceva Albert Einstein nel 1932 a margine della conferenza sul disarmo di Ginevra, non può essere umanizzata, ma può solo essere abolita.
 
TRA LE DOMANDE POSTE A RICCARDI
 
Dal pubblico una varietà di domande. Ne ricordiamo alcune.
 
. La riabilitazione della guerra va di pari passo con la desacralizzazione della vita?
Sì, perché il concetto di pace contiene anche quello di vita. Però, per quanto riguarda i cattolici, ricordo quel cappellano che, durante la Prima Guerra Mondiale, dal pulpito parigino proclamò che i cattolici francesi avrebbero seguito l’invocazione di pace di Benedetto XV solo dopo che la Francia avesse vinto la guerra. 
. Come si fa a far dialogare tra loro persone che si sparano addosso?
L’esperienza maturata da Sant’Egidio è che, con grande pazienza e tenacia, occorre costruire un quadro comune di interessi e mostrare la convenienza di accettarlo per tutte le parti in causa, come è stato fatto negli Anni Novanta in Mozambico, presente e molto attivo anche un allora giovane don Zuppi. 
. Quanta volontà c’è a livello internazionale di ascoltare la voce della Chiesa in materia di pace?
Questo è un grosso problema, anche perché a volte la Chiesa si dimentica che ci si salva solo tutti insieme. E’ sbagliato ad esempio polemizzare sul tema al proprio interno, come fa l’arcivescovo greco-cattolico Shevchuk, quando dice che papa Francesco non capisce niente della situazione ucraina. Se non si è d'accordo con il Papa non c’è bisogno di manifestarlo pubblicamente: ad esempio il cardinale Martini a volte non era in consonanza con il pensiero di Giovanni Paolo II, ma non andava a gridarlo dal pulpito del duomo di Milano. Per quanto riguarda la ‘missione’ affidata al cardinale Zuppi, da essa non ci si potevano attendere miracoli come sembrano pensare alcuni: ha però dimostrato e dimostra la passione della Chiesa per la pace. Papa Francesco è stata l’unica personalità a mandare qualcuno a Kiev, Mosca, Washington e Pechino per dire che la Chiesa crede nella pace. E’ vero che oggi la Chiesa è “abbastanza irrilevante” per il mondo. Non come ad esempio negli Anni Settanta, quando il cardinale Poletti nel Convegno sui mali di Roma denunciò come “inaccettabile” la condizione della città: e fece tremare sia il Vaticano che la Democrazia cristiana. 
. Guerra e propaganda.
Anche negli Stati democratici c’è una propaganda di guerra, perché i governanti vogliono indirizzare le opinioni del popolo. Perciò esiste una censura delle informazioni. 
. Come confrontarsi con il terrorismo? Con la guerra o con la politica? Non è che Israele sia caduta in errore?
Il terrorismo va isolato, ma la guerra non è una soluzione. Basti pensare all’Iraq, dove la situazione non è certo migliore che ai tempi di Saddam Hussein: oggi lì c’è uno Stato cleptocratico, corrotto, diviso, controllato da milizie ostili ai cristiani. Gaza potrebbe diventare l’Iraq di Israele. Purtroppo non si vede una via d’uscita, anche perché la politica israeliana delle colonie rende impraticabile il colloquio tra le parti in Cisgiordania. In tali difficilissime condizioni la Chiesa di Gerusalemme vuole essere una possibilità concreta di ponte tra i contendenti. Un sogno forse, ma il cardinale Pizzaballa conosce bene le due realtà contrapposte e sa muoversi con saggezza e audacia. Riceve schiaffi da ambo le parti, ma sono gli schiaffi della profezia e della santità. 
. Come possono aiutare le grandi religioni gli sforzi di pace in sede internazionale?
Possono essere acqua o benzina sul fuoco. E’ molto dolorosa la frattura tra gli ortodossi. L’Islam pare stia vivendo una grande crisi interna, con l’islamismo radicale che considera il terrorismo come espressione della propria fede.
. Una maggiore presenza femminile a livello di decisioni potrebbe accelerare lo sviluppo dei processi di pace?
In genere le donne sono più critiche degli uomini verso la guerra, per tante ragioni derivate dall’immersione nella quotidianità. Però gli esempi offerti dalla storia contemporanea non sono molto incoraggianti: pensiamo a Hillary Clinton o a Margaret Thatcher, che in un amen ha spedito i soldati inglesi alla guerra delle Malvine.